«Prima bisogna vedere il testo definitivo e poi si potranno capire nel concreto le conseguenze. Ma per quanto riguarda il lavoro, il segnale dato dal “decreto dignità” non è incoraggiante: ci avevano promesso il governo del cambiamento, invece ci troviamo di fronte a un approccio dirigista che ricorda gli anni Ottanta e Novanta. Il lavoro non si crea per decreto. Non si dovrebbe usare la decretazione d’urgenza su materie che richiedono riflessione». Luciano Vescovi è amministratore delegato dell’Impresa Vescovi Antonio, azienda di costruzioni edili, ed è presidente di Confindustria Vicenza, provincia manifatturiera con vocazione all’export.
Che impatto avrà sulle imprese la stretta sui contratti a termine?
«Il governo comincia a mettere i bastoni tra le ruote. Una premessa: Confindustria Vicenza ha 2 mila aziende associate con 85 mila addetti. È la prima provincia italiana per la manifattura. La filiera della concia delle pelli è il primo polo d’Europa e il secondo del mondo. E abbiamo un importante filone legato alla chimica e alle materie plastiche. Il nostro export vale 17 miliardi e ci stiamo avviando verso i 20 miliardi, con un saldo commerciale pari a 10 miliardi di surplus per Vicenza e dunque per l’Italia. Le nuove norme avranno l’effetto di appesantire dei cavalli da corsa, che saranno meno competitivi a livello internazionale, con il rischio di trasformali in ronzini, illudendosi così di creare occupazione».
Come valuta il ritorno della causale nei contratti a termine e la riduzione della durata?
«La riduzione da 36 a 24 mesi per i contratti a termine non è l’elemento dirimente, lo è il tema della causale. È un tornare indietro, significa accendere una miccia sotto le cause di lavoro. Se rimarrà anche nel testo definitivo aprirà la strada a un aumento dei contenziosi nel caso in cui i contratti non vengano trasformati in tempo indeterminato. Il rischio è che l’imprenditore decida di non assumere per non avere cause di lavoro. E in alcune aree del Paese potrebbe portare a un ritorno del lavoro nero».
Il rinnovo dei contratti a termine a un costo contributivo maggiore spingerà a optare per l’indeterminato?
«Ma il modello veneto funziona già così. La disoccupazione sta diminuendo. Secondo l’agenzia Veneto Lavoro l’85% degli occupati ha un contratto a tempo indeterminato e il 15% determinato. Il contratto a tempo è un facilitatore per l’ingresso di nuovi lavoratori nelle aziende. Il neolaureato inizia con uno stage, dimostra che è bravo e ottiene un contratto a termine, capisci che ne hai bisogno e lo assumi a tempo indeterminato. In provincia di Vicenza non abbiamo disoccupazione, c’è una disoccupazione negativa frizionale dovuta al cambio di lavoro. Noi abbiamo carenza di personale tecnico con competenze allargate di alto livello».
La norma contro le delocalizzazioni è un deterrente?
«Le aziende devono operare con velocità e razionalità. Il caso Embraco è stato eclatante, un comportamento non cristallino. Ma l’imprenditoria veneta ci tiene a rimanere in Italia e negli anni c’è stato anche un ritorno perché gli investimenti in innovazione hanno aumentato la competitività».