Fosse dipeso da lui, i fondi sarebbero arrivati tutti o quasi dall’aumento di almeno un’aliquota Iva. I no di Renzi e Di Maio hanno costretto il ministro del Tesoro Gualtieri al piano B: bastona l’evasore. Frodi sul commercio dei carburanti, stretta alle auto con targhe estere nuove e usate, stretta sulle compensazioni fiscali, agenti sotto copertura per smascherare il gioco d’azzardo, e pene più severe per i grandi evasori, per quanto non in forma di manette ma di confisca dei beni, in caso di condanna, come si fa con i mafiosi. Una “manina” ieri ha fatto uscire dai palazzi la prima bozza del decreto fiscale che accompagnerà la legge di bilancio 2020. È ancora piena di titoli senza dettagli, norme da completare, numeri da aggiungere. Mancano ad esempi tutte le norme sugli incentivi per l’acquisto con le carte di credito.
Del resto i conti ancora non tornano. Degli oltre sette miliardi necessari a coprire i 29 miliardi della Finanziaria il Tesoro al momento ne ha trovati meno della metà: tre miliardi e trecento milioni. Qualche centinaio di milioni in più arriverà da una tassa sugli imballaggi di plastica, ma ancora non ci siamo.
La decisione su come reperire quel che manca la prenderà stasera un vertice di maggioranza: ci saranno Conte, Gualtieri, Franceschini, Di Maio, Marattin per i renziani. Il ministro porterà con sé una borsa con alcune opzioni: tagli più forti del previsto alla spesa, alle agevolazioni fiscali, ai sussidi ambientalmente dannosi. Sul tavolo ci sono anche un po’ di tasse: aumenti selettivi dell’Iva (si parla soprattutto di alberghi e ristoranti), l’introduzione della tassa sugli zuccheri. Le ultime due sono più semplici da gestire, danno gettito facile ma sono quelle politicamente più costose. Una fonte di maggioranza (non renziana) che chiede di non essere citata la mette così: «Se non sarà Renzi a dire sì a un aumento selettivo dell’Iva, Zingaretti non gli farà mai il regalo di imporglielo: sarebbero voti regalati».
La battuta è rivelatrice di un clima come al solito di competizione fra partiti alleati. Ieri i leghisti hanno giustamente sottolineato che la risoluzione di maggioranza che approva la nota di aggiornamento dei conti pubblici è passata con appena tre voti di scarto. Vero è che quel voto richiede la maggioranza assoluta, ma certo non è un bel segnale. Sia il Pd che Renzi non hanno digerito il no del Tesoro ad introdurre subito l’assegno unico per i figli. La viceministra Cinque Stelle Laura Castelli l’aveva però detto alla Stampa in tempi non sospetti: quest’anno non si può fare. Non c’è il tempo e costa troppo.
Ora ai partiti tocca digerire un decreto fiscale che ha già scatenato i polemici. Le compensazioni fiscali, ad esempio. Il meccanismo già previsto per i pagamenti Iva si allarga ad Irpef, Ires e Irap: professionisti e imprese dovranno presentare dichiarazione per i crediti superiori ai cinquemila euro l’anno e un modello F24 tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate. Se la norma non verrà cambiata toccherà tutti: chi ad esempio ha ricevuto una cartella e ha diritto ad un credito d’imposta – dalle spese mediche alle ristrutturazioni – non potrà compensare. Sarà l’amministrazione a scalare il dovuto al contribuente, fino a esaurimento. Nella maggioranza c’è già chi dice che il pacchetto è troppo severo, e costerebbe caro nelle urne delle regioni in cui si voterà. Ma come fare diversamente? No all’Iva, no alla mano dura, no ai tagli: resta solo l’opzione di aumentare ancora il deficit o le tasse. Sempre nella maggioranza danno ad esempio per certa l’introduzione della tassa sugli zuccheri, ma in Parlamento, quando sarà necessario trovare un po’ di fondi in più per la lista delle richieste di deputati e senatori. Gualtieri dirà che oltre non si può andare, a meno di non voler andare allo scontro con Bruxelles. Quello di stasera si preannuncia come un vertice lungo. Molto lungo.