Tertium non datur: non esiste un’alternativa alle autonomie richieste da Lombardia e Veneto, nelle forme e nei modi indicati dai referendum. «Se si continuasse con una farsa come è accaduto fin d’ora, è evidente che non firmeremmo nulla. Non ci stiamo a essere presi in giro con una discussione che sembra il gioco dell’oca per cui si torna sempre alla casella di partenza». Così scrivono in una lettera congiunta al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, i due governatori leghisti di Lombardia e Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia. Una lunga missiva, gentile nei toni, ma molto dura nella sostanza, che risponde all’appello del presidente del Consiglio Giuseppe Conte rivolto ieri dalle pagine del Corriere ai «cittadini del Nord».
Appello che, chiedendo ulteriore pazienza e giustificando aggiustamenti e tagli alle attese dei governatori leghisti («per me l’autonomia non è una bandiera regionale»), annuncia di voler licenziare un progetto «riformatore» complesso e che «offra vantaggi reali» a tutta l’Italia, non solo alle Regioni del Nord. La risposta del premier non arriva ufficialmente ma trapela dalle indiscrezioni che annunciano la possibilità di incontrare di due governatori in settimana, forse già tra domani – quando sono stati convocati i tavoli sulle autonomie – e mercoledì.
Conte – che fa sapere di aver iniziato tra le altre cose a lavorare al discorso che dovrà tenere al Senato mercoledì, sul caso dei presunti finanziamenti russi alla Lega -, ha preso atto e registrato «un cambio di toni» nella lettera di Zaia e Fontana, il che a suo avviso «prelude a una corretta interlocuzione istituzionale». Secondo il capo del governo, dire che si riservano di sottoscrivere le intese solo se riterranno che il progetto sia completo ed efficace «è un atteggiamento pienamente legittimo», del tutto diverso dai toni accesi «e offensivi» dell’altro ieri, «che nascondevano l’arroganza di chi pretende di ottenere tutto quanto richiesto allo Stato».
Di fatto, il premier offre una tregua armata e margini di negoziato, mentre fa sapere di studiare «un piano per il Sud» con nuovi interventi legislativi. Una risposta, questa, a chi chiede a Conte di farsi garante dell’unità nazionale. Per scelta, invece, Matteo Salvini non ha accennato nemmeno la più piccola reazione. E sono passati tre giorni. Non lo farà, spiegano dalla Lega, perché il premier si è rivolto direttamente ai presidenti di Regione, e vuole che la dialettica continui tra di loro. I due governatori del Nord, dopo un anno di trattative sfiancanti, restano però inferociti anche per la decisione di Conte di rivolgersi direttamente «agli italiani del Nord», scavalcando di fatto l’alleato leghista e gli autori del referendum votato a stragrande maggioranza da Lombardia e Veneto per ottenere la competenza su 20 e 23 materie, come previsto dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Fontana e Zaia sono preoccupati per l’esito della legge dopo il vertice di giovedì a Palazzo Chigi, da cui è emerso come la normativa verrebbe privata dell’autonomia finanziaria, delle competenze sulla sanità e sulla scuola. In pratica, svuotata dai suoi capisaldi. «Negli ospedali – scrivono – si registra una carenza di medici che allunga le liste d’attesa e rischia di mettere in difficoltà interi reparti. Le nostre Regioni sono in equilibrio finanziario nel comparto sanità. Chiediamo che sia possibile assumere subito i medici che servono. È attentare ai pari diritti dei cittadini? I nostri studenti assistono ogni anno alla sarabanda degli insegnanti. Con l’autonomia chiediamo di avere la possibilità vera di programmare senza cambiare gli insegnamenti. Anche questo è attentare alla Costituzione?».
«A questo punto preferisco chi dice che la legge non va votata perché è pericolosa, ma non questa ipocrisia», commenta dal suo buen ritiro varesino il presidente Fontana. La missiva dei governatori è la sintesi della rabbia per il ritardo e i rinvii di una legge la cui mancata approvazione, nelle forme e nei modi auspicati dalle amministrazioni di Lombardia, Veneto ed Emilia, farebbe perdere la faccia alla parte leghista del governo. Con inevitabili conseguenze. «Non avremo scuse se non riusciremo a realizzare i nostri progetti – scrivono i due leghisti – Per questo vogliamo un’autonomia vera, non un pannicello caldo che produrrebbe ulteriori guai».