Carlo Rivetti è un fiume in piena. Ha appena comunicato al suo consiglio di amministrazione i dati 2017 di Stone Island. Il brand del gruppo Sportswear Company,di cui è presidente e direttore creativo,ha chiuso un anno da fuoriclasse. «Se non fossero scritti, forse non ci crederei», dice, riferendosi ai numeri del bilancio. Coi suoi capispalla, maglieria e camicie ultra tecnici, di ispirazione militare e casual, Rivetti fattura 147 milioni. La crescita è a doppia cifra: +34,9%sul 2016. E l’ebitda, a 37,5 milioni, segna un +92,6%sul 2016.
«Potremmo fare ancora di più, ma è una crescita che va gestita, perché siamo per esempio legati a vincoli produttivi o a finestre di consegne — spiega Rivetti —. E poi rimaniamo fedeli alla nostra politica: contingentare le vendite per mantenere livelli qualitativi il più alto possibile». Qualità e ricerca guidano il business. Erede dell’omonima dinastia, attiva prima nell’industria laniera del biellese e poi nelle confezioni a Torino (con il Gruppo finanziario tessile), neanche trentenne Rivetti acquista la C.P. Company, all’interno della quale Massimo Osti aveva creato Stone Island. «Sono entrato nel Gft nel 1975. Verso la fine del decennio ebbi l’intuizione di aprire un nuovo fronte all’interno del gruppo, lo sportswear. Poi ho scoperto C.P. Company, all’avanguardia e innovativa in quel campo».
L’innovazione è sacra per Rivetti: «La ricerca nondeve avere limiti. Per noi vale il 3%del fatturato e, considerando l’area prodotto e industriale, impegna il 50% dei dipendenti (207 in totale, ndr). Penso ai traguardi raggiunti con la tintura in capo del poliestere e, più recentemente, con la tintura in capo del tessuto reflective, ma abbiamo sperimentato talmente tante soluzioni che, se smettessimo di“studiare”, per dieci anni avremmo comunque nuovi prodotti da lanciare». Nè mancherebbero nuovi mercati. «L’Italia (tra i Paesi di riferimento con Regno Unito,Germania e Olanda , ndr) cresce del 16%. Mi danno soddisfazioni gli Stati Uniti, che in due anni sono diventati la nostra quinta piazza, toccando un +165% nel 2017. All’inizio avevamo puntato su mercati“di casa”: li ho scelti a non più di un’ora e mezza di volo da Linate. Ora la strategia è diversa. Non più push ma pull, non spingere ma tirare: andiamo dove il prodotto è richiesto».
Per la Cina Rivetti crede non sia ancora il momento. «Prima digeriamo gli Usa», scherza. Intanto, con l’ingresso a luglio di Temasek, il fondo del governo di Singapore con il 30%, un ponte verso Oriente — dove Stone Island ha già due dei 20 monomarca: a Seoul e Daegu, in Corea del Sud— è stato lanciato. Aiuterà la quota di fatturato all’estero, oggi al 69%. La prossima apertura sarà, a fine mese, a Venezia. E poi? «Siamo ottimisti: nel 2018 prevediamo di fatturare un +30%, sfiorando i 200 milioni. Ma senza acquisizioni: cresciamo a perimetro costante e ci piace stare concentrati sul nostro». Anche perché in azienda sono già entrati i figli: Silvio, Camilla e Matteo. I tre Millennials — hanno dai 36 ai 24 anni — si occupano di aree che il padre considera più che strategiche: prodotto, brand e America.
*L’Economia, 16 marzo 2018