Il futuro della ricerca sul cancro è già qui. A dirlo Stefano Piccolo, professore di Biologia Molecolare all’Università di Padova e ricercatore IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) che oggi è stato ospite al Festival della Scienza Trieste Next.
Professor Piccolo, qual è l’argomento del dibattito?
I tessuti sani sono una comunità di cellule diverse ognuna con le sue specializzazioni. Coesistono aiutandosi tra loro per garantire la buona salute del tessuto, un rinnovo corretto, la corretta risposta a un danno, qualità di una comunità positiva. Sta emergendo l’idea che i tessuti tumorali siano caricature aberranti dei tessuti normali. Le relazioni tra cellule esistono anche qui, ma sono pericolose, creano circoli viziosi e garantiscono alle cellule tumorali la sopravvivenza e la crescita all’interno di un tessuto altrimenti sano. Si creano, tutto intorno, un ecosistema che permette loro di essere alieni in un territorio che tenderebbe ad eliminarle come aliene.
Perché l’ambiente tumorale è così interessante?
Perché apre nuove possibilità di intervento. Non si va più a colpire solo la cellula tumorale in sé, ma anche l’ambiente vizioso dentro cui prolifera. Si pensi ai nuovi farmaci che smascherano il tumore rendendolo finalmente visibile e attaccabile dal sistema immunitario. Un cambio di paradigma.
Cosa vi ha fatto vincere il prestigioso finanziamento dell’European Research Council (ERC)?
Sappiamo che il cancro è una malattia alla cui base c’è un accumulo di danni genetici. Ma questo, da solo, non basta. Ha bisogno di un ambiente corrotto in cui la cellula tumorale possa proliferare. Sorprendentemente si è capito che, rispetto alle cellule sane, le cellule tumorali sono addirittura più fragili, con tante caratteristiche che le rendono potenziali perdenti e vulnerabili.
Perché son così toste?
Perché hanno altri superpoteri. Grazie al finanziamento ERC abbiamo scoperto che le cellule tumorali sono immerse in una matrice di supporto molto rigida, una corazza. Questa caratteristica le aiuta a essere dei camaleonti, a cambiare le proprie caratteristiche e perfino a trasformarsi da benigne a maligne, a nascondersi dal sistema immunitario e acquisire nuove specializzazioni, incluse caratteristiche tipiche delle cellule staminali.
Intende caratteristiche che sono normalmente appannaggio delle cellule esperte in riparazioni?
Sì, in un ambiente sano. In un ambiente tumorale – ecco il superpotere – si creano nuove cellule staminali a partire da cellule che staminali non erano e che qui, invece di aggiustare, causano trasformazioni aberranti, caricaturali, alimentando il tumore.
Esistono farmaci in grado di spezzare questi circoli viziosi?
I nuovi farmaci dovranno curare le cellule tumorali e anche il loro ambiente. C’è bisogno di colpire due volte e a più livelli. Tessuti sani forme belle, tessuti malati forme brutte.
La forma è funzione come diceva Aristotele?
La forma, diceva Aristotele, è l’anima del vivente perché nella forma c’è la funzione. Stiamo scoprendo che le forme dei tessuti sani sono cruciali al loro essere tessuti sani. Se cambia la forma di una cellula, cambia la sua biologia molecolare, il modo di funzionare, l’identità. Ma la forma dipende proprio dall’ambiente in cui la cellula è immersa, da come tocca le altre cellule, da come si incolla alla matrice circostante: una cellula tumorale può essere “normalizzata”, cioè convertita in una cellula benigna solo normalizzando/convertendo la sua nicchia ecologica.
Sul sito del suo laboratorio si legge “Le cellule percepiscono il loro ambiente e usano queste informazioni per costruire e mantenere tessuti con forme, dimensioni e funzioni specifiche.” Questo sistema di percezione/comunicazione delle cellule tra loro e il loro ambiente si basa su meccanismi di stimolo-risposta?
Sì. Le cellule rispondono al proprio ambiente perché hanno dei sistemi di lettura, interpretazione ed esecuzione di segnali chimici e fisici (durezza-morbidità).A sua volta il sistema risponde a quegli stimoli (lettura, interpretazione, esecuzione) tornando a modificare l’ambiente ad esempio ripristinando delle condizioni normali dopo un danno che altera il tessuto, nei tessuti normali. Oppure alimenta e fa ricresce cellule maligne, nel tumore.
Il rettore di Padova sta incoraggiando i ricercatori a partecipare a finanziamenti europei. Come si vince un ERC?
L’European Research Council cerca persone con un curriculum studi credibile e progetti che abbiano la forza di cambiare lo status quo e aprire nuovi orizzonti. Ci vuole resilienza, capacità di lavorare in team e di pensare fuori dal coro. E ci vogliono colleghi che condividono uno scopo. Personalmente devo tutto a collaboratori fantastici.
Perché è rimasto in Italia?
Ci volevo provare, pur sapendo che fare ricerca qui è più difficile. Per fortuna esistono isole felici. Le ho trovate all’Università di Padova, che mi ha dato libertà, mezzi e persone per fare ricerca e all’AIRC che finanzia gran parte del nostro lavoro. Grazie a una convenzione tra IFOM e Università, siamo parte di un gruppo multidisciplinare che ci permette di muoverci verso orizzonti inesplorati nella biologia dei tessuti.Ieri c’è stata la notte europea dei ricercatori.
Vuol dire qualcosa ai giovani ricercatori?
Perseguite poche idee ma le più ambiziose e non accontentatevi mai.
*Il Mattino di Padova, 29 settembre 2018