Pochi giorni fa, Francesco Starace, amministratore delegato del gruppo Enel, era a Davos al World Economic Forum, che ogni anno mette insieme banchieri, economisti, politici e manager a livello globale. Venerdì ha partecipato ai lavori del “Manifesto di Assisi”, promosso dai frati del Sacro Convento, presente il premier Giuseppe Conte. Due eventi con un comune denominatore: in Svizzera come in Umbria si è parlato di come l’emergenza clima stia creando problemi non solo all’ambiente ma anche all’economia e alla tenuta sociale. E di come rimediare. Starace, che guida un gruppo leader nelle energie rinnovabili, spiega a Repubblica perché la soluzione verrà solo dall’economia verde.
La finanza e la grande industria hanno scoperto l’importanza della sostenibilità ambientale: solo per aumentare i profitti o hanno capito che consumare e produrre in un certo modo non è più possibile?
«La mia percezione è che esista ormai una chiara visione di come sia sempre più rischioso andare avanti come prima. I grandi fondi che gestiscono i risparmi hanno ben compreso che saranno in grado di assicurare un ritorno economico solo investendo in aziende e progetti che si occupano di sostenibilità, di economia circolare, di lotta al cambiamento climatico. Se non lo fanno, rischieranno di scomparire dal mercato. La consapevolezza di questo fenomeno è tale per cui la domanda da farsi non è più se succederà, ma la velocità con cui avverrà la trasformazione dell’economia».
La realtà appare diversa.
L’accordo di Parigi sul clima viene disatteso, gli Usa producono gas e petrolio anche più di prima, Cina e India sostengono la loro crescita consumando carbone.
«Le cose non stanno così: negli Stati Uniti, anziché guardare a cosa succede a livello centrale bisogna concentrarsi sugli Stati, che conservano una loro autonomia nella politica energetica. Nel corso dell’amministrazione Trump sono state ritirate dal servizio centrali a carbone per 50 gigawatt, pari ai consumi di oltre 40 milioni di famiglie. Gli Usa si stanno progressivamente decarbonizzando, i nuovi impianti sono a rinnovabili e in piccola parte a gas. Anche in Cina, il piano per la costruzione di nuove centrali a carbone ha rallentato, da quando sono scoppiate le proteste per l’inquinamento nelle aree metropolitane. Non è escluso che questo avverrà anche in India, dove la lobby del carbone è ancora forte».
Greta Thumberg, simbolo della lotta per un mondo sostenibile, ha lasciato Davos sottolineando come nessuno abbia dato risposte alle sue domande.
«È vero, ma penso che ognuno debba svolgere il suo ruolo. Greta è diventata un simbolo ed è giusto che mandi messaggi che siano un esempio per tutto il mondo. Ma quale risposta avrebbe voluto? Che la transizione verso un mondo verde sia finita già domani. Ma ovviamente non è possibile. È giusto che ognuno svolga il suo ruolo».
Ad Assisi non si è parlato solo di ambiente. Ma anche di come il sistema liberale che si è imposto dopo la Guerra fredda ha capito che deve “riformarsi” per rispondere alle proteste che, dal Cile alla Francia, chiedono un mondo dove le risorse siano distribuite più equamente.
«Il successo di un film come Joker si spiega anche con il fatto che parla di una rivolta, causata dalle angosce di un mondo dove crescono le differenze tra chi ha molto e chi sempre meno. Il cambiamento climatico crea insicurezze. Per questo è utile che, a Davos come ad Assisi, ci si ritrovi a parlarne. Perché non è detto che chi gestisce il più grande fondo di investimento del mondo capisca perfettamente quello che succede nel mondo. È giusto che chi ha grandi responsabilità si senta dire cosa non funzioni».
Per esempio, le politiche liberiste: avevano promesso che abbattendo i vincoli alla finanza ci sarebbe stata più ricchezza per tutti.
«È corretto che un sistema venga perennemente controllato: quindi è giusto capire se il regime liberale che si è imposto negli ultimi 15-20 anni stia funzionando, se debba essere corretto e come. È giunto il momento di porre più attenzione alle comunità, a dove la ricchezza si forma, dove si va a depositare e chi favorisce. Bisogna tenere le cose buone e correggere le distorsioni».
Ma la rivoluzione dell’economia sostenibile come potrà diventare uno strumento per redistribuire ricchezza a tutti?
«Prima bisogna partire da un presupposto: si può redistribuire ricchezza soltanto se prima è stata creata. La stabilità nella creazione di valore è il primo fondamento dell’economia sostenibile: se non distruggi le risorse puoi continuare a generare ricchezza e non crei ineguaglianze, perché le poche risorse disponibili vanno solo a una parte della società. Quindi, prima difendiamo le risorse disponibili e poi redistribuiamo meglio la ricchezza per non creare diseguaglianze».
Lei sostiene che una economia più sostenibile non potrà che avvantaggiare l’Italia. Per quale motivo?
«L’Italia è un Paese che ha scarsa disponibilità di materie prime. Per cui la sua industria è dedicata da sempre alla trasformazione di materie prime importate in prodotti e servizi ad alto valore aggiunto.
L’industria italiana da anni è dalla parte della sostenibilità e della lotta agli sprechi. Non a caso, abbiamo aziende ad alta efficienza, e nelle attività del riciclo dei materiali e dell’economia circolare vantiamo numeri oltre le medie europee».
Quanto tempo ci vorrà ancora prima che l’economia sostenibile prenda il sopravvento e s’imponga? E si possa, per esempio, invertire la tendenza nelle emissioni di CO2?
«Penso che già il prossimo anno concetti come quelli appena espressi saranno dati per assodati. E che nell’arco di 5-10 anni la rivoluzione tecnologica in atto si imponga definitivamente. Per esperienza ho visto che le previsioni degli esperti vanno sempre tagliate di almeno un terzo».