Un pilastro dell’economia italiana che, però, può e deve crescere di più. Sul mercato interno, all’estero, e come dimensioni aziendali. È questa la fotografia fatta all’industria alimentare italiana da Nomisma, Centromarca e Associazione industrie beni di consumo. Uno studio dal quale emerge che nel decennio 2008-2018 la crescita dell’industria alimentare italiana è stata trainata dall’export (+67%, balzo inferiore solo a quello del comparto farmaceutico), a fronte di un mercato interno ancora molto importante ma in cui la crescita dei consumi nello stesso intervallo di tempo si è fermata al 13% (+17% per il fatturato).
Che la filiera agroalimentare sia un pilastro dell’economia italiana lo confermano i 140 miliardi di euro di valore aggiunto del 2018, con il 20% generato dall’industria alimentare; ma la propensione all’export e il numero delle imprese esportatrici è ancora basso, direttamente collegato alle dimensioni, nel senso che man mano che aumenta la dimensione delle imprese, aumenta anche la propensione. Nonostante la crescita del 67% nel decennio, l’export alimentare italiano in miliardi (34,8 nel 2018) resta ancora inferiore non solo a quello degli Usa (60,3) ma anche a quello di Germania (58,7), Paesi Bassi (54,2) e Francia (45,5). «Uno degli ostacoli al maggiore sviluppo dell’export — spiega Francesco Mutti, amministratore delegato di Mutti e presidente di Centromarca — è la dimensione aziendale. Le nostre aziende sono sottodimensionate rispetto a quelle di Germania, Francia e Spagna. Questo permette alla Germania, che non ha nel food un elemento di forza, di avere aziende più strutturate in grado di affrontare i mercati stranieri con potenzialità superiori rispetto all’Italia. Come può un’azienda di 9 dipendenti pensare all’estero? Per questo bisogna facilitare le aggregazioni». In Italia, evidenzia lo studio, le imprese alimentari con oltre 50 addetti rappresentano solo l’1,8% del totale, in Germania il 13%. E quelle con più di 350 milioni di fatturato sono solo 49, lo 0,1% del totale, che però nel 2018 hanno generato un fatturato di 50,9 miliardi.
Anche per Denis Pantini, responsabile del settore agroalimentare di Nomisma, in un mercato globale le dimensioni contano sempre di più. Da qui l’importanza di una maggiore integrazione e di rapporti commerciali all’insegna della massima correttezza. Quella a cui punta la direttiva Ue 2019/633 che si propone di salvaguardare le aziende agricole e le imprese agroalimentari da pratiche commerciali sleali. Il relatore Paolo De Castro, europarlamentare del Pd, sottolinea, però, la differenza dell’importanza delle dimensioni a seconda dei comparti: «Per il vino la dimensione è meno fondamentale, lo è sicuramente l’ortofrutta. Ma basterebbero anche dei consorzi, come per le mele in Trentino. Purtroppo, soprattutto al Sud, resta la ritrosia a fare squadra».