Il superticket scomparirà e lui — Roberto Speranza, ministro della Salute — si batterà perché questo avvenga prima possibile. Sta cercando i soldi, si sta confrontando in queste ore con il ministero dell’Economia per fare presto. Se il denaro fosse disponibile la misura potrebbe scattare subito, anche se non è escluso che sia invece necessario un po’ di tempo e che magari l’abolizione avvenga per gradi. La tassa, come lo stesso ticket di base, rischia di creare disuguaglianza tra i cittadini e quindi di contraddire l’articolo 32 della Costituzione, che Speranza considera il riferimento cardine della sua azione istituzionale. Per il primo ministro della Salute di sinistra da molti anni «ogni volta che un cittadino non accede alla sanità per ragioni di natura economica siamo di fronte a una sconfitta dello Stato».
Quindi sul superticket si va avanti?
«Certo, come scritto a pagina 104 della Nota di aggiornamento al Def. Per la prima volta si afferma con nettezza che il superticket aumenta le discriminazioni e le diseguaglianze tra i territori e nei territori. E che l’obiettivo di tutto il governo è di superarlo progressivamente. Da ministro della Salute mi batterò perché questo avvenga nel tempo più breve possibile. So di avere il sostegno di tutti. A partire da Conte».
Quanti soldi sono necessari?
«I nostri uffici dicono che superarlo integralmente costa 550 milioni, ma visto che 60 sono già stati messi l’anno scorso, ci vogliono 490 milioni».
Dove troverete il denaro necessario a togliere la tassa?
«Non nel fondo sanitario nazionale, dobbiamo trovare stanziamenti extra».
Volete anche rivedere il ticket facendolo pagare per fasce di reddito. Alla luce di esenzioni ed evasione, estesissime, non si rischia di farlo ricadere sulla classe media dei lavoratori dipendenti?
«La lotta all’evasione è un punto centrale della nostra azione di governo, la faremo con modalità innovative e questo aiuterà anche la sanità. Sto lavorando a un disegno di legge, collegato alla manovra, su cui sarà importante il confronto con le parti sociali. Il principio che mi ispira è la progressività. Penso, ad esempio, che chi come me fa il parlamentare può pagare per una visita specialistica qualcosa in più rispetto a un lavoratore dipendente. L’obiettivo è che nessuno rinunci alle cure per motivi economici. Ho ben chiari i valori sui quali imposterò il mio operato».
Quali sono?
«L’equità e i principi della Costituzione. Prima di tutto difendo l’articolo 32 della Carta, che al primo comma dice: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Parte tutto da lì. È il mio programma di fondo e lavorerò giorno e notte perché la realtà della sanità del nostro Paese si avvicini il più possibile a quell’orizzonte.
L’universalità del sistema sanitario nazionale è il patrimonio più importante del Paese, da difendere come una pietra preziosa. Alla base c’è l’idea che se stai male non conta quanti soldi hai, da che territorio vieni, di chi sei figlio: hai il diritto sacrosanto ad essere curato».
Per applicare la Costituzione in questo senso ci vogliono risorse.
«E noi coerentemente abbiamo stanziato 2 miliardi in più nel fondo sanitario nazionale per il 2020. Si tratta di un incremento dell’1,7 per cento, negli ultimi due anni si era saliti di poco meno e di poco più di un miliardo».
A dir la verità l’incremento di
quest’anno era stato fissato dal governo precedente.
«Una cosa è programmare il fondo su base triennale, un’altra è trovare poi effettivamente le risorse di anno in anno. Noi stiamo dando un segnale, per la sanità la stagione dei tagli è finita».
Nel nostro Paese le assicurazioni sanitarie stanno cercando di guadagnare spazio.
Che ne pensa?
«Non mi interessano le battaglie ideologiche, ma il modello che difendo è l’universalismo. Non è così in tutto il mondo, visto che ci sono Paesi dov e ci si cura solo se assicurati o con la carta di credito. Vorrei che gli italiani percepissero fino in fondo la differenza tra i due modelli e quanto è forte e bello il nostro. Credo in un servizio pubblico moderno e di qualità in cui tutti si possano riconoscere e a cui tutti possano affidarsi, chi sta meglio economicamente come chi è rimasto indietro».
Cosa intende fare per risolvere le carenze di medici?
«Ormai il grido di dolore su questo problema è generalizzato, arriva da tutte le Regioni. Stiamo studiando le soluzioni, anche confrontandoci con i governatori e le parti sociali, che devono arrivare in tempi brevi.
Intanto possiamo dire che le borse di specializzazione ancora non bastano. Sono state giustamente aumentate l’anno scorso e noi dobbiamo darci l’obiettivo di proseguire su questa strada».
A due anni dall’approvazione la legge sul biotestamento non parte, manca un parere del Consiglio di Stato e poi il suo ministero dovrà dare il via libera alla banca dati che raccoglie le dichiarazioni anticipate di trattamento. Come si comporterà?
«Faremo subito tutto quello che è nelle nostre possibilità per dare esecuzione alla norma approvata dal Parlamento. È una legge dello Stato, l’ho votata a suo tempo, ma anche se non l’avessi fatto mi comporterei allo stesso modo. Per quanto di nostra competenza faremo immediatamente tutto ciò che è necessario. Nessun atteggiamento diverso sarebbe ammissibile».
Quale provvedimento vorrebbe veder approvato in questi primi mesi del suo mandato?
«Quello contro le aggressioni agli operatori sanitari, perché dobbiamo prenderci cura di chi si prende cura di noi. La norma è già passata all’unanimità in Senato e spero che in tempi brevi si esprima la Camera. Lo Stato deve farsi carico di chi si occupa dei nostri malati, deve stare accanto alle migliaia di operatori del mondo della sanità che con passione e competenza ogni giorno tutelano la nostra salute».