«Il voto alle regionali in Emilia Romagna? Non credo che sarà condizionato più di tanto dal quadro nazionale. Il voto del 26 gennaio peserà innanzitutto per i cittadini dell’Emilia Romagna, che lo hanno capito e si stanno mobilitando. Quella è l’anima delle regionali: chi governa bene il territorio. Gli emiliani-romagnoli non vogliono sentirsi usati». Di fronte a Matteo Salvini che dipinge la battaglia elettorale nella regione “rossa” per eccellenza tra il governatore uscente Stefano Bonaccini e la sfidante leghista Lucia Borgonzoni come la battaglia decisiva della legislatura («se il Bonaccini perde il governo deve andare a casa», dice il leader leghista), è chiaro che il segretario del Pd Nicola Zingaretti prenda tutte le distanze possibili e cerchi di circoscrivere le elezioni in Emilia Romagna a caso locale. «A Salvini dell’Emilia Romagna non importa nulla, utilizza le persone per interessi di partito». Ma fuori dai microfoni nessuno nel duecentesco Palazzo del Re Enzo a Bologna – dove si sta tenendo la tre giorni della «rifondazione» del Pd che si concluderà oggi con le modifiche allo statuto del partito – sottovaluta la portata della sfida del 26 gennaio.
Eppure da qualche giorno i dati che arrivano sulla scrivania del Nazareno danno segnali di conforto. E si comincia a pregustare la tenuta del fortino rosso e la sconfitta di Salvini: «Se diventa la battaglia del secolo non è che vale solo per Zingaretti, vale pure per Salvini». L’ultimo sondaggio che ha riacceso le speranze è quello commissionato a Winpoll (si veda l’analisi di Roberto D’Alimonte in pagina), che fotografa Bonaccini oltre otto punti avanti rispetto alla sfidante Borgonzoni. Gli scenari considerati dall’istituto di sondaggio sono due: se il M5s corresse con un suo candidato prenderebbe il 6,2%, Bonaccini con il centrosinistra il 50,7% e Borgonzoni con il centrodestra 42,1%. Se invece il M5s facesse parte della coalizione di centrosinistra che sostiene Bonaccini il governatore uscente salirebbe al 56,2% e Borgonzoni rimarrebbe sostanzialmente stabile al 42,9%. Chiaro che, almeno in Emilia Romagna, l’elettorato del M5s è collocabile più a sinistra che a destra (nel sondaggio su una scala da 1 sinistra e 10 destra gli elettori pentastellati si autocollocano a 4,2 a fronte di 4 degli elettori di Italia Viva e di 3,3 del Pd). Un dato di cui il leader politico del movimento Luigi Di Maio, contrario come noto ad entrare nella coalizione di centrosinistra in sostegno di Bonaccini dopo la sconfitta in Umbria, dovrà tenere conto. «Nei prossimi giorni decideremo. Dobbiamo presentarci dove siamo pronti», ha detto ieri Di Maio facendo intendere che l’opzione più probabile al momento è una sorta di desistenza non ostile al centrosinistra con la rinuncia alla presentazione del simbolo.
Il sondaggio Winpoll che ha riportato il sorriso a Largo del Nazareno ha tuttavia un lato oscuro della medaglia: se Bonaccini può contare rispetto alla sfidante leghista sul vantaggio del buon governo, quando si passa ad esaminare il voto di lista si capisce quanto la Lega sia ormai penetrata in Emilia Romagna. Il voto di lista (sempre considerando un M5s autonomo al 6% circa) premia il centrodestra con il 47,6% rispetto al centrosinistra con il 44,8%. E la Lega è più o meno al livello del Pd (circa 33%). Si capisce meglio, allora, il tentativo dello stesso Bonaccini e del segretario del Pd di circoscrivere le elezioni del 26 gennaio al campo regionale puntando sui buoni risultati dell’amministrazione. Su questo filo, non a caso, si svolge il ragionamento di un dirigente storico del Pd come Luigi Zanda, ora tesoriere della segreteria Zingaretti: «Dico da tempo che Bonaccini vincerà e sarà ancora presidente dell’Emilia Romagna. Non c’entrano nulla né le ideologie né le politiche nazionali – dice Zanda -. Bonaccini vincerà perché il suo programma di buon governo si poggia su cinque anni nei quali tutti gli indicatori della regione sono positivi, dal Pil all’occupazione dalla sanità all’igiene pubblica, dalla scuola al turismo. Gli emiliani e i romagnoli lo sanno». Il buon governo, appunto. Senza troppo metterci sopra le insegne del Pd.