I sondaggi calano, la paura è tanta e i Cinque Stelle sono costretti a ripensare la natura del reddito di cittadinanza. Tra i vertici grillini desiderosi di attenuare l’immagine assistenzialista che si porta dietro la loro misura simbolo, circola questo slogan: «Più giovani disoccupati, meno famiglie». E infatti da settimane sono stati rivisti al ribasso i coefficienti del quoziente familiare. Perché, è l’esempio che si fa spesso nel M5S, «meglio aiutare un neolaureato a cercare un lavoro che una casalinga». Ma non è solo questo il problema: occorre ridurre l’impatto sui conti pubblici. Un’esigenza che ha ben presente Giovanni Tria. Il ministro dell’Economia non molla la presa e continua a far pressione sui due azionisti di maggioranza, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, per spostare il più possibile in avanti, almeno a fine 2019, i costi del reddito grillino e controriforma delle pensioni (Quota 100), in modo da alleggerire al massimo gli impegni di spesa del prossimo anno.
Difficile che i due vicepremier daranno questa concessione. L’unico compromesso possibile seguirebbe lo stesso schema in due tempi adottato ieri per trovare la quadra sulla prescrizione voluta dal M5S e osteggiata dal Carroccio: approvare un decreto-bandiera prima del voto e rinviare l’erogazione delle misure di diversi mesi. Gli espedienti del governo per addolcire il giudizio di Bruxelles sulla manovra non hanno funzionato. Non è bastato rinviare la definizione legislativa delle due misure simbolo, da incardinare (forse) in due decreti, né evitare di conteggiare fra le coperture le maggiori entrate fiscali che deriverebbero dall’aumento della crescita prevista dal Def. Tria sperava in un giudizio meno severo da parte dell’Ue. Eppure – al netto delle divisioni che restano profonde – l’atteggiamento di Lega e M5S sta lentamente cambiando. Una strada è quella di far crescere il più possibile le entrate: di qui l’emendamento presentato ieri in commissione dalla Lega per estendere la sanatoria fiscale a Imu e Tasi non riscosse fra il 2000 e il 2017, il raddoppio della multa per chi viene beccato senza contrassegno di assicurazione e il prelievo dell’1,5 per cento per tutti i trasferimenti di denaro sopra i dieci euro verso Paesi extra Ue: una misura che sembra fatta apposta per penalizzare i lavoratori extracomunitari. Inoltre, il governo deve limitare il più possibile le uscite.
Per il reddito di cittadinanza, a esempio: gli ultimi sondaggi sui Cinque Stelle – riservati e non – dicono che il calo dei consensi inizia a essere consistente, in particolare a Nord, dove Di Maio ha perso più dell’otto per cento. Gli effetti del cosiddetto decreto Dignità (inviso agli imprenditori) e della promessa di un sussidio indiscriminato premia le ragioni dell’alleato leghista, orientate verso l’area più produttiva del Paese. L’orizzonte delle elezioni europee è vicino, e occorre dunque aggiustare rapidamente il tiro senza creare ulteriori fibrillazioni sui mercati. Da un lato c’è la necessità di avere un risultato tangibile entro primavera, dall’altra contenere i costi di una misura che dovranno essere inevitabilmente più bassi dei nove miliardi fin qui immaginati. Per questo nel Movimento si sta ipotizzando una prima fase sperimentale, che passerebbe attraverso un mero allargamento del Reddito di inclusione (Rei) varato dal governo Gentiloni. Già oggi ci sono a disposizione 300 euro mensili per circa un milione di persone. Per avere accesso al Rei non è necessario essere alla ricerca attiva di un lavoro: basta essere iscritti alle liste del collocamento.
I presupposti del progetto Cinque Stelle – che prevedono un legame stretto con le offerte di lavoro – sono impossibili da attuare senza una seria riforma dei centri per l’impiego.I dubbi espressi dal sottosegretario leghista, Giancarlo Giorgetti, non a caso ruotano proprio attorno a questo aspetto: i tempi si stanno allungando sempre di più e non coincidono con l’ottimistico cronoprogramma fissato dai grillini. Negli ambienti di governo fanno notare come nelle ultime settimane la macchina della propaganda di Di Maio si sia spostata più sulle pensioni (anche qui condizionati dai sondaggi che registrano un picco di popolarità contro la legge Fornero) e un po’ meno sul reddito. Lo stesso capo politico del M5S non ha risposto per le rime a Salvini quando lo ha ribattezzato «reddito di reinserimento al lavoro».Questa è infatti la nuova direzione verso la quale si rivolgono i grillini per non alienarsi troppo il sostegno dell’alleato a cui la loro misura non è mai piaciuta. «Non c’è dubbio – concorda Di Maio con i suoi strateghi di fronte alle rilevazioni che bastonano i Cinque Stelle- va agganciato di più al lavoro».