I Champions che abbiamo cominciato a incontrare tre anni fa sono stati capaci, dopo la grande crisi, di salti dimensionali importanti: maggiore capitalizzazione, crescita robusta dei ricavi, margini attorno al 20%. Come allora saranno in prima linea nella ripartenza. Chi sono e quanto valgono
Tre anni fa, all’inizio del nostro viaggio nell’universo delle piccole e medie imprese, le abbiamo chiamate «Champions». Aziende che, all’indomani della Grande Recessione esplosa nel 20082009, erano riuscite a intercettare la fase di ripresa mondiale dell’economia e a trainare il Sistema Italia fuori dalla crisi grazie a una serie di fattori: mezzi finanziari sufficienti a investire a prescindere dai prestiti bancari, customizzazione del prodotto, flessibilità organizzativa, utilizzo delle tecnologie, ricorso massiccio al 4.0. A queste strategie finalizzate ad aggredire i mercati globali si affiancava un’attenzione maniacale alle risorse umane. Obiettivo: attrarre e trattenere i migliori talenti.
Nuove sfide
È così che una parte del tessuto industriale di questo Paese è riuscita prima a sopravvivere e, poi, a trainare una crescita che nel 2016-2017 ci ha consentito di rialzare la testa e battere tutti i record di export: con un plotone di piccole e medie aziende pressoché sconosciute, concentrate principalmente nel nuovo triangolo industriale e capaci di raddoppiare (a volte perfino triplicare) le loro dimensioni in meno di dieci anni. Chi stava a 10 milioni di fatturato è arrivato a 20 o addirittura 30, chi era a 50 è passato a 100, chi partiva da 100 è arrivato 200. Una crescita segnata dal mantenimento di una marginalità elevatissima, mediamente del 20%, che ha permesso di mettere da parte munizioni per finanziare gli ulteriori salti dimensionali.
Tra il 2018 e il 2019, però, anche le aziende Champions si sono trovate di fronte a nuove sfide. Le hanno messe a dura prova e hanno provocato una loro ulteriore evoluzione. Il primo fattore destabilizzante è stata la crescita di liquidità sui mercati finanziari e la conseguente, spasmodica ricerca di opportunità di investimento da parte dei fondi, disposti a pagare cifre impressionanti per acquisire imprese ad alta redditività (come le nostre Top). Per i Campioni si sono presentate due opportunità: aprire il capitale a soci di minoranza per accelerare ulteriormente i processi di crescita, oppure – magari perché nel frattempo non erano stati organizzati né il passaggio manageriale né quello generazionale – vendere al miglior offerente.
Il secondo fattore destabilizzante degli ultimi due anni è legato alla crisi del settore auto: messi sotto scacco sul tema ambientale, i costruttori hanno rallentato gli acquisti dai nostri fornitori. È riuscito a reggere chi, in questi anni, aveva lavorato su tecnologie e prodotti a maggior valore aggiunto e aveva raggiunto dimensioni almeno sufficienti per restare inserito nella filiera; ha cominciato a soffrire e ad arretrare chi questi passi non li aveva fatti.
Terzo fattore che ha mutato il quadro: la stretta – annunciata o effettiva – sui dazi. Multilocalizzare le produzioni è diventato non solo un’esigenza (per stare più vicino ai consumatori), ma anche un modo per evitare di rimanere tagliati fuori da alcuni mercati in una fase nella quale le incognite geopolitiche pesano e mettono a rischio le nostre produzioni. Quarto dei fattori che, fino a ieri, stavano provocando cambiamenti profondi: la scarsità di giovani talenti. Sta colpendo tutti, e in particolare quelle aziende e quei territori che hanno adottato scelte che li hanno resi poco appealing. Mancanza di collegamenti veloci, chiusure culturali, forme più o meno evidenti di xenofobia, sono stati elementi che hanno determinato la mancata attrattività in alcune aree produttive e favorito la presenza di giovani talenti in altre.
L’effetto combinato di questi quattro fattori ha provocato un’ulteriore evoluzione dei Champions. Al loro interno c’è stato, in questi tre anni, un ricambio stimabile intorno al 25%, che ha fatto emergere le aziende più strutturate sia in termini di management che di percorsi di crescita e dimensioni. La Grande Crisi di questo inizio 2020 è destinata a cambiare nuovamente le carte in tavola. Richiederà, come accadde dopo l’11 settembre o negli anni della peggior recessione che il mondo abbia vissuto dal 1929 in poi, capacità di immaginare un futuro completamente diverso. Quali saranno gli atteggiamenti dei consumatori? I processi di globalizzazione continueranno o ci sarà un ritorno a sistemi chiusi di relazione tra le diverse economie? Lo smart working sarà un fenomeno passeggero o diventerà una modalità permanente, destinata a cambiare i processi produttivi e organizzativi delle nostre aziende e le relazioni con i clienti esteri?
Nel prossimo Meet The Champions – dovrebbe partire a maggio se, come tutti speriamo, l’emergenza sarà nel frattempo alle spalle – gli imprenditori ci racconteranno in presa diretta come stanno affrontando la crisi.
L’unica certezza, oggi, è che queste aziende sono sufficientemente capitalizzate per resistere anche a situazioni estremamente difficili come l’attuale. Sono agili per dna, e questo permetterà loro di reagire rapidamente non appena i mercati incominceranno a uscire dall’emergenza. Saranno dunque loro – di nuovo, come dopo la Grande Recessione – a portarci fuori dal tunnel.