Secondo il sottosegretario all’Economia Laura Castelli per varare il reddito di cittadinanza siamo «gia in zona Cesarini» e per questo la squadra di governo dei Cinque Stelle «sta affinando il lavoro». Castelli ha confermato che la copertura prevista dal progetto di legge originariamente era di «17 miliardi di euro» ma, come vedremo, è possibile che la cifra venga limata. Per le risorse necessarie il sottosegretario ha dichiarato che si pescherà «all’interno del bilancio dello Stato e ci sono le risorse che servono, senza bisogno di nuove tasse». In parallelo all’esternazione di Castelli nei giorni scorsi sul sito della rivista «Economia e politica» diretta dall’economista Riccardo Realfonzo è uscita un’interessante simulazione delle coperture necessarie a far partire il reddito di cittadinanza. Una simulazione così realistica che su Twitter ha ricevuto il plauso di Pasquale Tridico, principale consulente del ministro Luigi Di Maio per le politiche del lavoro. «Siamo nella giusta direzione» ha scritto. Nei giorni precedenti alla domanda se il reddito voluto dai grillini fosse indirizzato a combattere la povertà o la disoccupazione Tridico aveva risposto: «È una misura che aggredisce la povertà ma allo stesso tempo favorisce il reinserimento nel mercato del lavoro, quindi è anche contro la disoccupazione».
In sintonia con le sue idee l’articolo di «Economia e Politica» sostiene che le risorse finanziarie vanno spostate «dalle politiche di attivazione a quelle di redistribuzione» e che bisogna combattere l’idea che «il reddito minimo di cittadinanza sia irrealizzabile». Dovendo definire meglio la misura se ne parla come di una somma erogata mensilmente senza nessun tipo di restrizione su come, dove e quando spenderla in modo che possa risultare «potenzialmente alleviante rabbia e ansia esistenziale». Si cita, per l’appunto, l’elaborazione di Tridico sul reddito minimo che pur condizionandolo «a diverse forme di attivazione» (vedremo quali) avrebbe anche effetti di stimolo sulla domanda aggregata.
Ma come finanziare il provvedimento? Non con spesa aggiuntiva, è la risposta, «piuttosto con una corretta razionalizzazione delle spese sociali, previdenziali, assistenziali e di stimolo fiscali esistenti, lasciando le tasse e altre fonti pubbliche di spesa quasi invariate». Perfettamente in linea con le dichiarazione di Castelli. Ma veniamo alla simulazione. Il costo di un reddito minimo di cittadinanza è stimato in 15 miliardi. Circa 950 milioni potrebbero rientrare dall’abolizione degli assegni di protezione temporanea della disoccupazione ovvero la Naspi, l’assistenza per la disoccupazione (Asdi) e il cosiddetto “discoll” ovvero l’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Secondo «Economia e politica» altri 2,750 miliardi possono essere incamerati dall’assorbimento del Reddito di inclusione introdotto dal governo Gentiloni per la protezione dalla povertà assoluta. Due miliardi potrebbero arrivare dagli interventi di attivazione condizionanti (Neet giovani e percettori di Naspi) più il programma di Garanzia Giovani. Il grosso però dei finanziamenti necessari per tenere in piedi il progetto grillino di reddito di cittadinanza dovrebbero arrivare da quelli che la rivista definisce come «sgravi fiscali per i ceti medi» e che giornalisticamente siamo abituati a chiamare «gli 80 euro di Renzi»: in tutto 9 miliardi. Anche il bonus per l’acquisto di beni culturali voluto dallo stesso ex premier verrebbe prosciugato dal nuovo provvedimento portando risorse per 290 milioni. Il totale della simulazione della rivista di Realfonzo, giudicato un test probante da Tridico, arriva a quota 14,991 miliardi. E qui ci fermiamo. E’ evidente che al di là dei conteggi di ragioneria c’è un totale cambio di filosofia rispetto ai governi di centro-sinistra almeno su due punti-chiave: 1) le politiche attive del lavoro che vedrebbero quasi azzerate le risorse; 2) le differenti platee dei beneficiari del bonus da 9 miliardi, dal ceto medio ai cittadini che rientrano nella soglia Isee di definizione della povertà. Per quanto riguarda la possibile entità dell’assegno minimo la rivista non fornisce numeri, possiamo però stimare che se restasse in piedi la vecchia idea grillina dei 780 euro mensili la nuova misura interesserebbe circa 1,6 milioni di individui, nel caso — molto probabile — che l’assegno scendesse attorno ai 400 euro i beneficiari salirebbero attorno ai 3 milioni.