Domenico («Mimmo») Parisi, nuovo presidente dell’agenzia per il lavoro Anpal, ha una storia rara per l’Italia. È un uomo che si è fatto da sé. Cresciuto in orfanotrofio a Ostuni, è emigrato negli Stati Uniti e lì, professore di demografia e statistica applicata all’Università statale del Mississippi, è diventato stretto consigliere del governatore repubblicano Philip Bryant perché ha prodotto una colossale banca dati: si chiama «Life Tracks» e raccoglie ogni interazione di ogni mississippiano con i poteri pubblici, dalla scuola, ai sussidi, alle cure, alla giustizia. «Life Tracks» non è accessibile se non dal governo ma ha un dossier su ciascuno con tutto dentro: dalle multe al carcere, dalla scuola materna alla pensione. Parisi stesso si autodefinisce «uno dei migliori scienziati dei dati al mondo». Ora sta lanciando i 2.978 navigator che dovranno aiutare i disoccupati e per loro ha un messaggio inconsueto per la cultura del lamento così diffusa in Italia: «Non dite che si può fare, ma è difficile. Dite che è difficile, ma si può fare». È qui che inizia a parlare di data science, machine learning, artificial intelligence per far incontrare i profili dei disoccupati con le imprese più adatte. Si è detto volesse far comprare all’Anpal il suo stesso software del Mississippi, ma lui smentisce. Parla molto di algoritmi per mettere in rapporto imprese e lavoratori, ma il Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro è esattamente come un anno fa. Fermo. Manca infatti un tassello fondamentale, perché ancora nessuno fa sì che le imprese segnalino lì le loro offerte di lavoro. Invece di parlare di data science e algoritmi, perché non partiamo da lì?