Il sottosegretario a Infrastrutture e Trasporti Armando Siri, senatore leghista vicinissimo a Matteo Salvini, è indagato per corruzione in un’inchiesta a cavallo tra Palermo e Roma per una presunta tangente da 30 mila euro elargita da un imprenditore in odore di mafia. Il vicepremier grillino Luigi Di Maio ne chiede le dimissioni alle quali risponde l’omologo leghista Salvini attaccando di nuovo Virginia Raggi («Inadeguata a fare il sindaco»), stavolta per una registrazione audio che rivela le pressioni della sindaca sull’approvazione del bilancio Ama (la municipalizzata capitolina dei rifiuti). Sul doppio fronte politico-giudiziario va così in scena l’ennesimo scontro tra i partiti di governo.
La giornata si apre con le perquisizioni disposte dalla procura di Roma a carico di Paolo Franco Arata, imprenditore genovese attivo nel settore dell’eolico, ex deputato di Forza Italia e ritenuto socio occulto di Vito Nicastri, accusato a Palermo di aver finanziato la latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Arata è legato a Siri non solo dalla città di nascita ma anche da un’intesa che sembra così solida da averlo portato nella lista dei possibili commissari per gestire lo «sblocca cantieri», grazie alla sponsorizzazione del sottosegretario leghista. Arata, secondo il pm Mario Palazzi e il procuratore aggiunto Paolo Ielo, avrebbe versato (o promesso) 30 mila euro a Siri, che in cambio lo avrebbe agevolato «proponendo e concordando con gli organi apicali dei ministeri competenti — si legge nel decreto di perquisizione eseguito dagli agenti della Direzione investigativa antimafia — l’inserimento in provvedimenti normativi di competenza governativa, ovvero proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto “minieolico”». L’imprenditore, svelano le indagini, incontra più volte Siri, che finisce per essere intercettato indirettamente: l’uso delle conversazioni dovrà essere autorizzato da Palazzo Madama. Ma che non si sia trattato di lecita attività di lobbying, secondo gli inquirenti, lo si evince dall’intercettazione in cui Arata parla esplicitamente dei 30 mila euro con il figlio Francesco, anch’egli indagato e con ruoli operativi nelle srl del gruppo.
La prima reazione arriva dal ministro Danilo Toninelli, che ritira le deleghe al sottosegretario. «Un atto politico grave», secondo i dirigenti del Carroccio. Più cauto il premier Giuseppe Conte: «Avverto il dovere e la sensibilità di parlare con il diretto interessato. Chiederò a Siri chiarimenti e poi valuteremo. È un fatto di cui non sminuisco la gravità». Ma siamo solo all’inizio. Di Maio attacca: «Cè una questione morale. Anche a Salvini conviene tutelare la reputazione della Lega. Nessuno sta negando a Siri il diritto di difendersi, diciamo solo che può farlo lontano dal governo». Il ministro dell’Interno gli risponde stizzito: «Solo se sarà condannato Siri dovrà lasciare. Non ho mai chiesto di far dimettere la Raggi o parlamentari 5 Stelle indagati. Con tutti i cantieri aperti non avrei tolto le deleghe a Siri, a Toninelli serve aiuto».
In pieno scontro, arriva la rivelazione de L’Espresso sulle pressioni della sindaca sull’ex manager Ama, Lorenzo Bagnacani, e le cose peggiorano. «Tutto lecito», assicura il Campidoglio, ma il Carroccio contrattacca e chiede le dimissioni della sindaca. «Goffa ripicca», secondo M5S. Poi, in serata, la Lega chiede di stralciare la norma «Salva Roma» dal dl crescita. «Non accettiamo ricatti», replica il M5S.