Le famiglie italiane sono uscite dalla campagna elettorale finita il 4 marzo con una ricchezza privata di circa 5.300 miliardi di euro. Essa naturalmente include molti immobili, ma anche quasi 1.800 miliardi di risparmi spesso sudati in generazioni di lavoro.
Una maggioranza di questi italiani ha dato il proprio voto a partiti che contestano il sistema di governo dell’area euro e vorrebbero più spazio per gestire il bilancio pubblico. Fra autonomi, artigiani e commercianti la Lega ha preso il 35% in più che nelle sua media nazionale, secondo Ipsos. Fra impiegati e insegnanti i 5 Stelle hanno preso quasi il 10% in più. Da questi ceti viene una domanda evidente di cambiamento: meno tasse, meno burocrazia, più rispetto e dignità sul posto di lavoro e — spesso — magari meno stranieri senza documenti a fare l’elemosina nel mercato rionale della propria comunità.
Questi italiani che hanno votato M5S e Lega sono però in buona parte anche i depositari di quei 5.300 miliardi di risparmi. Dipendono tutti dalla tenuta del debito pubblico perché lo Stato possa pagare i loro stipendi o perché il fido e il mutuo in banca abbiano tassi sopportabili. Da questi milioni di elettori non viene una richiesta, né una delega, a giocare con il fuoco. A instillare il dubbio che il risparmio degli italiani possa essere convertito in una moneta votata a perdere valore. A far planare l’ipotesi che il governo scelga di non onorare interessi e scadenze dei titoli di Stato acquistati. A rompere il contratto europeo che da decenni accompagna la crescita civile dell’Italia e l’accesso degli esportatori del made in Italy ai loro principali mercati: Germania e Francia.
Se quei dubbi fossero fatti ridestare nei risparmiatori italiani e negli investitori esteri, sappiamo cosa accadrebbe. Dalla Catalogna sono uscite centinaia di imprese in pochi giorni, quando si è affacciata l’ipotesi di una secessione dalla Spagna e dunque dall’euro: non volevano che la loro tesoreria fosse convertita in una moneta risibile. Dalla Grecia sono uscite decine di miliardi di euro di risparmi, quando nella prima metà del 2015 il governo di Alexis Tsipras sembrava mettere in dubbio il futuro del Paese nell’euro. Alla sola ipotesi gli investitori, che si erano riaffacciati, hanno creato un cordone sanitario attorno a Atene. I greci individualmente hanno votato con il portafoglio per difendere i propri risparmi, fino a mettere in ginocchio le banche di Atene. Gli italiani che hanno votato M5S e Lega, e tutti gli altri, sono gente seria: hanno chiesto a chi ha vinto di occuparsi del loro malessere, non di scherzare con il loro futuro. Quella bozza di programma è stata smentita, ed è bene così.