Raccontano che Enrico Cuccia stentasse a credere che la piccola Pordenone anni 60 degli Zanussi fosse una delle capitali mondiali della produzione di elettrodomestici. Da allora di anni ne sono passati proprio 60 e quel primato ha dovuto affrontare molteplici discontinuità: l’avvento dei produttori asiatici, le delocalizzazioni, un mercato come quello italiano dove si formano poche nuove famiglie e, ora, l’avvento dell’e-commerce. Non era scontato che l’industria del bianco in Italia sopravvivesse: le grandi dinastie dei Borghi, dei Merloni, degli Zanussi, dei Fumagalli hanno via via ceduto il passo e non sempre gli avvicendamenti sono stati coronati da fortuna. Ma oggi nella stessa zona, che incuriosiva il banchiere Cuccia, sta partendo un’esperienza che va seguita. Rivoltare come un calzino una vecchia fabbrica e costruirne una interamente nuova all’insegna del 4.0. Tutto ciò avverrà a Susegana, in provincia di Treviso a 40 chilometri dal quartier generale di Pordenone. Sarà un processo graduale, la nuova fabbrica sostituirà la vecchia passo passo e sarà pienamente operativa dal 2022. Un itinerario che andrà seguito con attenzione perché è insieme una lezione di business nell’epoca del digitale e un esperimento politico-sociale che, il caso vuole, cade proprio quando Mirafiori, la storica cattedrale dell’industrialismo italiano, compie 80 anni.
L a prima sorpresa viene proprio sul versante sindacale. Contrariamente a quanto la letteratura economica ha raccontato il passaggio dal vecchio al nuovo non comporterà la temuta ecatombe di posti di lavoro. Su 840 operai che lavoravano nella vecchia organizzazione produttiva, nel 2022 quando partiranno le nuove linee, ne resteranno in forza 790 e sono previste però assunzioni di quaranta giovani operai con competenze 4.0. E infatti il progetto della new Susegana è stato negoziato con i sindacati e convalidato dagli operai: l’80% in un apposito referendum ha detto sì a 130 milioni di investimenti e l’adozione dei tre turni dal lunedì al sabato pomeriggio per un totale di 36 ore settimanali (retribuite però come se fossero 40).
Si possono dunque mettere assieme tecnologia e lavoro senza che l’una divori l’altro e anzi creando un’alleanza per reggere la sfida con il terzo incomodo, un mercato volubile e imprevedibile? Ne abbiamo parlato a lungo con Ernesto Ferrario, amministratore delegato di Electrolux Italia e potrà stupire ma la riflessione non si è appuntata sulla relazione automazione-operai bensì la figura più evocata e temuta, il convitato di pietra al quale si è fatto riferimento pressoché continuo, è il consumatore infedele degli anni Dieci. Se una volta si parlava di potere operaio/sindacale oggi il tema-chiave è il consumer power. L’innovazione deve fare i conti con lui: il cliente moderno che va direttamente sui siti delle aziende produttrici per scegliersi la lavatrice o il frigo, poi frequenta online Trovaprezzi.it , sceglie sulla rete il prodotto, passa da un rivenditore specializzato, controlla se la sua scelta slittando dal virtuale al reale tiene, poi torna a casa e compra il tutto con Amazon. È un processo di disintermediazione anche questo, come quello che investe la politica e altri ambiti. E per di più non si ferma al momento dell’acquisto. Continua. Perché il consumatore posta su Facebook e su YouTube una recensione della lavatrice o del frigo che ha comprato e riproduce il codice seriale del prodotto. Diventa un piccolo gnomo alla Moody’s, crea un rating temutissimo dalle aziende produttrici. Vale la pena indugiare su questi elementi perché servono a correggere un’idea (italiana) del 4.0 troppo legata agli aspetti ingegneristici e che tende a mettere in secondo piano la motivazione-chiave di questa rivoluzione della manifattura: la relazione con un mercato più frammentato e con rapporti di forza che si sono spostati a valle.
Certo, fuori dalla relazione con i clienti ci sono anche altre dinamiche che chiamano prepotentemente all’efficienza. Il numero dei player del bianco si sta restringendo, i coreani e i cinesi sono concorrenti temibilissimi e la risposta della manifattura occidentale attinge alla sua tradizione industriale ma deve anche rinnovarsi. Il ciclo di vita del prodotto si riduce drasticamente, un terzo della gamma di frigoriferi, lavatrici e lavastoviglie viene rinnovato ogni anno. Si introducono nuova elettronica o nuova estetica, fermi non si può stare. Senza innovazione continua, infatti, non si può difendere il prezzo del prodotto, operazione essenziale per i costruttori europei visto che le lavatrici da 500-600 euro sono state lasciate agli asiatici. «Noi ci concentriamo sui prodotti ad alto valore aggiunto come quelli da incasso perché solo così riusciamo a bilanciare le virtù della manifattura italiana con il costo del lavoro» spiega Ferrario.
Ma come si svolgono questi passaggi? È qui che arriva una seconda piccola sorpresa. Il processo di innovazione non parte in mente Dei ovvero solo nelle segrete stanze del Ceo aziendale o delle grandi case di consulenza. Per le novità ci si rivolge anche al mondo delle startup: Electrolux ne ha coinvolte 175 e alla fine ha adottato soluzioni escogitate da loro. In gergo si chiama open innovation. Una startup di Napoli ha condotto l’analisi ergonomica delle postazioni di lavoro degli operai. Un’altra di Venezia ha inventato un sistema di intelligenza artificiale per il controllo qualitativo e la riduzione degli scarti. Nella smart factory di domani la ricerca dell’ergonomia del lavoro esecutivo è una priorità, che serve per combattere l’assenteismo ma per ottenere questo risultato punta a prevenire le più ricorrenti malattie professionali. Lo stesso avviene con l’utilizzo dei Co-bot, i robot collaborativi che interagiscono con l’uomo e lo aiutano nelle fasi più pesanti della lavorazione. Oppure con la novità dell’esoscheletro, un’imbragatura che aiuta a evitare che le operazioni più frequenti e faticose vadano a scaricarsi sulla schiena. L’attenzione al lavoro operaio fa parte di uno scambio tipico del 4.0, l’impresa chiede maggiore partecipazione/responsabilità ai dipendenti e tende a ripagarli con maggiore attenzione al fattore umano, con la diffusione di uno spirito comunitario e con strumenti come il welfare aziendale.
Nella Susegana di domani, infatti, le linee di montaggio ci saranno ancora, saranno di tipo diverso (modulare) per rendere più scorrevole il flusso del lavoro e più flessibile la gestione delle risorse umane, ma non si andrà oltre. Il lavoro esecutivo e ripetitivo resta necessario, caso mai cambia attorno ad esso il contesto. Le sostituzioni degli assenti vengono governate con un algoritmo e rese pienamente visibili su uno schermo perché ci sia trasparenza e non la vecchia discrezionalità dei capi reparto, la qualità viene misurata maniacalmente e il controllo estetico ultimo che una volta veniva delegato a una delle operaie più esperte sarà affidato a visori ottici. La scommessa di Electrolux è di poter recuperare per questa via un 5% di inefficienze l’anno, la soglia necessaria per restare competitivi. Il successo di questa che assomiglia alla «via alta dell’innovazione», spesso invocata e di rado realizzata, sarà pieno se verrà seguito dall’intera filiera delle Pmi. A quel punto il cambiamento della fabbrica genererebbe un rinnovato orgoglio del territorio. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno .