Fare impresa a Nord Ovest è molto meno semplice che in passato. Quello che è stato storicamente il triangolo dell’industrialismo italiano vive un momento di profondo travaglio. Incombe la «terza» recessione e il sistema Nord Ovest ha persino il rimpianto di non aver colto a sufficienza le occasioni che il ciclo della crescita 2015- 2018 ha offerto (e che Lombardia, Veneto ed Emilia hanno saputo cogliere con grande tempismo ed efficacia). Così la parola che sul fronte piemontese ricorre con maggiore frequenza è «declino», ed è stato questo sentimento ad animare negli ultimi mesi le mobilitazioni dei Sì Tav, che a loro volta hanno visto nell’alta velocità una sorta di ultima occasione da non perdere per ridare smalto e centralità a Torino.
L’improponibile (e inutile) derby
In altre occasioni mi è capitato di dire che all’interno di quella mobilitazione ha trovato spazio anche una sorta di campanilismo ferroviario, ovvero l’idea che aprire i collegamenti veloci su Lione possa servire a riequilibrare i rapporti di forza con Milano (che a differenza della città sabauda ha preso la rincorsa con l’Expo e non si è più fermata). In verità più che pensare a un improponibile e inutile derby tra la Mole e il Duomo, un presupposto per riprendere a ragionare in termini di crescita è adottare una visione sistemico-territoriale. La locomotiva Milano, del resto, è un asset che va speso a favore dell’intera area settentrionale nella logica di contaminazione tra servizi e manifattura. Oggi non è così, ma ci sono tutti i presupposti perché lo diventi (anche per scongiurare, come sostiene Aldo Bonomi, un conflitto città-contado degli anni Dieci). Parlare di Nord Ovest e non solo di Piemonte non è dunque soltanto uno slittamento lessicale: è utile per far propria una discontinuità di merito. L’economia del post-crisi si caratterizza (anche) per il peso che la mobilità di persone e merci ha assunto e quindi a fare la differenza in positivo è il grado di integrazione dei territori e il loro inserimento in ecosistemi e corridoi. Ho già avuto modo di dire che cambiano i soggetti dello sviluppo e le piattaforme di scambio, e di questa novità il sistema delle imprese deve prendere atto al più presto. «La scelta dell’alta velocità va inserita nel rilancio della cultura dell’apertura», sintetizza il sociologo Paolo Perulli. Che ricorda anche come il Nord Ovest abbia il vantaggio di essere crocevia di due corridoi europei, Lisbona-Kiev e Genova-Rotterdam. E dunque la vivacità degli imprenditori, il loro amore per l’avventura di business è una conditio sine qua non, ma bisogna anche che gli stessi si armino di una buona bussola e abbiano presente il contesto.
Per dirla con uno slogan, occorre che anche le imprese emergenti capiscano che viviamo in un’economia di flussi e non di stock.
Le associazioni imprenditoriali hanno indubbiamente saputo captare l’umore dei propri iscritti e più in generale della società torinese e hanno contribuito ad animare la protesta pro-Tav. Meno celebrata ma non meno importante è però la decisione (recente) di allargare l’agenda al tema della crisi del settore automotive. Una trentina di aziende — compresa Fiat Chrysler — si sono riunite dieci giorni fa all’Unione Industriali di Torino con l’obiettivo ambizioso di dar vita a una vera vertenza auto. È stato costituito un gruppo di lavoro che dovrà scrivere una proposta di politica industriale — è stato detto — capace nel medio periodo di governare la transizione tecnologica verso l’elettrico, e nel breve affrontare i problemi occupazionali e produttivi che i venti di recessione portano con sé. L’iniziativa ha una valore indiscutibile per Torino, e non solo in funzione difensiva rispetto all’eventualità molto temuta di un progressivo allontanamento di Fca dal suo territorio di nascita (è stato calcolato che nel 2019 si produrranno nell’area solo 20 mila vetture). Serve almeno ad altri due scopi. Tentare da un lato di stanare un governo che ha una visione delle politiche industriali abborracciata, per dirla con un eufemismo, e dall’altro compattare la filiera attorno a progetti e rivendicazioni comuni che esaltino il background della città, aprano alla collaborazione con le eccellenze universitarie e aiutino la formulazione delle scelte di mercato.
Vedremo cosa uscirà dal gruppo di lavoro che mette insieme produttori, componentisti, aziende elettriche e del gas dentro uno schema che punta ridefinire la nuova mobilità. Rafforzamento delle filiere, infrastrutture e grande attenzione alla logistica sono dunque i temi-chiave sui quali il Nord Ovest deve far perno nel tentativo di ripartire.
Territori da aprire
Qualche parola in più va spesa proprio per la logistica, finora rele- gata al ruolo di Cenerentola. L’acquisizione da parte dei belgi dell’interporto di Rivalta Scrivia, alle spalle del porto di Genova, o i buoni risultati del Cim di Novara sono novità sulle quali si dovrebbe riflettere di più, perché indicano altrettanti punti di forza dell’industria logistica e invitano subito a costruire discorsi di sistema per mettere in asse specializzazioni e integrazione. Del resto basta guardare una cartina dei centri di smistamento Amazon in Italia — che privilegiano il Piemonte in una logica di vicinanza alla Francia — per avere la dimostrazione plastica di come il territorio di cui stiamo parlando, per giocarsi le sue carte con qualche chance di successo in più, non possa che puntare sull’apertura.
*L’Economia, 18 febbraio 2019