Il 7 ottobre si compirà quello che i grillini considerano un mezzo miracolo: ovvero far passare la storica riforma del taglio del parlamentari. Da quel giorno, la legislatura sarà più blindata. Perché a nessuno dei peones converrà perdere lo scranno con meno certezze di prima sul proprio scranno. «È da trent’anni che tutte le forze politiche dicono di voler ridurre il numero di deputati e senatori: ora passiamo dalle parole ai fatti», esulta il sottosegretario alla presidenza Riccardo Fraccaro, dopo l’ok della capigruppo a fissare la data per l’ultimo passaggio parlamentare di questa riforma: capace di far risparmiare 500 milioni di euro ad ogni legislatura, portando da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 il numero di senatori. Una riforma che dovrebbe trascinarsi dietro anche una nuova legge elettorale, destinata però ad essere varata con calma: perché il Pd è spaccato tra fautori del maggioritario e tifosi del proporzionale; e perché di prassi ogni legge elettorale nasce alla vigilia di nuove elezioni. «Si farà, ma nessuno ha fretta», ammette un dirigente pentastellato. La cosa certa è il via libera al taglio che fa esultare Di Maio, «alla faccia di Salvini», per avere incassato «una prova di lealtà del Pd». Visto che oltre al sì scontato della Lega, anche i Dem, Leu e Renzi si acconciano a dare l’ok malgrado i tre no consecutivi delle prime letture. E questo in virtù di un accordo che riequilibra gli effetti di questa riforma.
L’accordo di maggioranza, al punto 10 del programma, dice che la riduzione dei parlamentari va accompagnata «da un percorso per incrementare le opportune garanzie costituzionali di rappresentanza democratica, assicurando il pluralismo politico e territoriale». Un vasto programma che di fatto blinda ancor di più il governo. Una serie di interventi – spiega il capogruppo di Leu, Federico Fornaro, «per dare garanzie costituzionali. La riduzione degli onorevoli comporta degli effetti: nel plenum dell’elezione del capo dello Stato non è prevista una riduzione proporzionale dei delegati regionali. Poi vanno portati a 18 e 25 anni per Camera e Senato i requisiti di elettorato attivo e passivo. E serve un sistema di voto con impianto proporzionale».
Quindi di qui al 7 ottobre va formalizzata un’intesa di maggioranza su queste garanzie: trovando una sintesi tra diverse proposte, alcune del Pd, altre di Leu. Una di queste, scritta da Fornaro «prevede di modificare l’articolo della Carta in cui si stabilisce che il Senato sia eletto su base regionale». Il nodo della legge elettorale certo non sarà risolto entro il 7 ottobre. «Noi siamo persone serie e di parola, la fiducia deve essere alla base di questa maggioranza», premette il capogruppo Pd, Graziano Delrio. Chiarendo però che il Pd si aspetta altrettanta lealtà sui temi dell’elettorato attivo e passivo. Sulla revisione dei Regolamenti e sulla bozza di legge elettorale «che non è pronta oggi perché il Governo deve darsi il tempo di discutere». In ballo c’è anche la cosiddetta sfiducia costruttiva: ovvero la possibilità di sfiduciare il governo solo in presenza di una nuova maggioranza. Una norma di stabilità per ridurre i poteri di interdizione dei singoli parlamentari sulle maggioranza di governo. Infine c’è la riforma dei regolamenti: una serie di articoli fissano i numeri minimi per comporre un gruppo e per presentare una mozione: vanno riproporzionalizzati, così come va valutato il numero di commissioni, lasciando la possibilità di una doppia presenza al Senato. Un lavoro ancora tutto da fare.