È paradossale ma nel momento in cui la Lega non è mai stata così forte nelle amministrazioni del Nord — governa tutte le Regioni e vuole anche l’Emilia-Romagna — viene meno nella simbologia politica il riferimento alla questione settentrionale. E la comunicazione è specchio dei fatti: qualsiasi partito che potesse contare su quattro governatori (Fontana, Zaia, Fedriga e Fugatti) li avrebbe riuniti per delineare orientamenti comuni almeno in tre materie (infrastrutture, sanità e mercato del lavoro) e invece la Lega no. L’integrazione economico-territoriale del Nord non interessa alla leadership di Matteo Salvini, che del resto ha lasciato la battaglia dell’autonomia regionale in gestione ai governatori di Veneto e Lombardia. Al punto che nel suo «Rito ambrosiano» Bobo Maroni scrive che «Matteo non si dannò l’anima» per il referendum del 2017 e «qualcuno sostiene che abbia fatto il tifo per il no».
Ma mentre Salvini definisce le sue alchimie politiche — quanta comunicazione, quanta Italexit — il Settentrione, che si scopre orfano di rappresentanza, sta cambiando pelle. Basta pensare alle traiettorie dello sviluppo: al vecchio triangolo industriale Mi-To-Ge se ne è sostituito un altro, sempre con vertice Milano ma che stavolta si rapporta a Bologna e Treviso e si segnala come il contenitore delle multinazionali tascabili più intraprendenti e dei flussi di export più consistenti. Ma niente sta mai fermo e i flussi dell’economia reale riscrivono di continuo la gerarchia dei territori, anche dentro il nuovo triangolo. Il Nordest infatti comincia a sentire le difficoltà di un modello di capitalismo anarchico. Il 4.0 richiede cultura sistemica e capacità di attrazione, invece il Veneto fatica ad attirare competenze/talenti e non riesce nemmeno a evitare che scappi il capitale umano formato in loco. Lo ha riconosciuto, intervistato dal Foglio, il neo-presidente della Confindustria Veneto, Enrico Carraro, che ha aggiunto: «Il nostro territorio ha bisogno di autocritica, basta con il piccolo è bello». L’Emilia al contrario risale nella gerarchia, il 4.0 la favorisce e ne esalta la storica attitudine a cucire relazioni e legami. Ergo secondo il Censis dopo Milano sono Bologna ed alcuni poli urbani dell’Emilia «l’area italiana a maggiore attrattività».
Cosa comporta per la Lega? Il rischio di un certo spaesamento. Anche perché la novità di questi anni di maggiore rilievo accaduta a Nord è la corsa solitaria di Milano, che ha sfruttato le reti internazionali per andare in controtendenza rispetto al Paese e diventare centro di gravità per capitali e talenti. A Milano la Lega non prende palla e sarà interessante vedere quale strategia Salvini escogiterà per scalzare l’amministrazione Sala nel 2021. La stessa debolezza segnalata per il Nordest la si riscontra su un altro versante caro alla Lega, le partite Iva. Al governo aveva lanciato la mini-flat tax per rafforzare la constituency politica del lavoro autonomo. Non è andata così: la legge è stata utilizzata in chiave prettamente difensiva per scegliere norme fiscali più convenienti ma non ha generato nuove imprese e nuovo Pil. In verità più che all’imprenditoria molecolare un partito egemone nel Nord dovrebbe porre attenzione alla crescita dell’area di influenza tedesca, che relega anche settori importanti del made in Italy in un ruolo di meri fornitori delle grandi aziende renane. E così quando, come in questi mesi, l’auto tedesca si lecca le ferite a soffrire immediatamente sono le aziende italiane della componentistica, già in ambasce per l’avventurosa transizione verso l’elettrico. Ma la crisi dell’automotive è materia pressoché ignota per la dirigenza di una Lega che, se volesse, avrebbe abbondante materia per mettere alle strette sui temi della politica industriale un governo che a sua volta, tra Alitalia e Ilva, ha perso la bussola. Così il Nord orfano di rappresentanza politica e di ganci a Roma tenterà di consolarsi, almeno parzialmente, recuperando la presidenza di Confindustria. Dei candidati alla successione di Vincenzo Boccia ben quattro sono espressione del nuovo triangolo industriale (il milanese Carlo Bonomi, il bresciano Giuseppe Pasini, il triestino Andrea Illy e l’emiliano Emanuele Orsini) e una (Licia Mattioli) rappresenta il Piemonte.