I Benetton danno l’addio alle autostrade (almeno a quelle in Italia) con un buco di 2 miliardi e ripartono da un tesoretto personale che – malgrado la tragedia del Ponte Morandi e i guai del Covid – vale ancora almeno una decina di miliardi. E che spazia dagli Autogrill agli aeroporti, dalle mucche – in Argentina ne hanno quasi 300 mila capi – ai palazzi sugli Champs-Élysées, dalle torri per telecomunicazioni ai maglioncini.
La vendita di Aspi alla cordata guidata da Cdp manda in archivio, con un passivo tutto sommato contenuto, il dopo-Polcevera e non chiude – anzi il contrario – l’avventura autostradale del gruppo. Il conto dei danni collaterali del crollo del viadotto per Ponzano Veneto è presto fatto: la partecipazione del 30% in Atlantia della dinastia trevigiana valeva 6,2 miliardi il giorno prima dell’incidente che ha causato 43 vittime e oggi ne vale poco più di quattro.
Passata la mano in Italia, i Benetton continuano a occuparsi di autostrade all’estero. E Atlantia, paradossalmente, potrebbe usare una parte degli 8,18 miliardi incassati dallo Stato italiano e dai fondi per puntellare gli investimenti di Abertis, la controllata spagnola che gestisce una rete di 8.700 chilometri (più del doppio del network di Aspi) in 16 Paesi del mondo e che ha appena fatto acquisizioni negli Usa e in Messico.
Il vero buco nero per la famiglia trevigiana, come accade da tempo, sono le attività nella moda. Benetton Group aveva già perso 300 milioni tra il 2018 e il 2019. La pandemia ha peggiorato la situazione e l’ultimo esercizio è andato in archivio con un rosso di 325 milioni. Il nuovo management guidato da Massimo Renon sta provando a riposizionare sul mercato un marchio che – se non avesse lo stesso nome della famiglia e non fosse nel cuore di Luciano – sarebbe con ogni probabilità stato “pensionato” da tempo.
Il Covid, ovviamente, è costato carissimo anche ad Autogrill e al business della gestione aeroportuale. Due attività su cui si concentreranno con ogni probabilità nuovi investimenti ma che hanno chiuso il 2020 con fortissime perdite per il crollo del traffico stradale e di quello nei cieli. Il rilancio dovrebbe ripartire, manca solo l’ok della Consob, da un aumento di capitale da 600 milioni di Autogrill che ha archiviato l’ultimo esercizio con un buco di 485 milioni.
L’assenza di dividendi da Atlantia e Autogrill, il profondo rosso dei maglioncini e la travagliata vicenda della cessione di Autostrade non sembrano comunque aver intaccato la solidità finanziaria dei Benetton. Edizione holding, la cassaforte di famiglia, è riuscita secondo le indiscrezioni a chiudere il 2020 cancellando il debito e con 200 milioni circa di liquidità in portafoglio, merito soprattutto all’ottimo andamento di Cellnex: negli ultimi dodici mesi la società che gestisce torri per le telecomunicazioni ha avviato una ricapitalizzazione durante la quale Ponzano Veneto ha limato dal 13% all’8,5% la sua partecipazione cedendo i diritti di sottoscrizione a nuovi soci, con un incasso vicino agli 800 milioni finito tutto in tasca ad Edizione. E la quota che è rimasta in portafoglio vale comunque 2,84 miliardi.
I conti insomma, malgrado il ponte Morandi, tornano ancora. E a completare il tesoretto di casa Benetton ci sono anche le partecipazioni di quasi il 4% in Generali (da sola vale un miliardo) e il 2% in Mediobanca, oltre ai 111 palazzi storici di Edizione Property, una collezione di immobili di lusso tra cui il Fondaco dei Tedeschi a Venezia, 940 mila ettari di terra in Argentina – una superficie superiore a quella dell’Umbria – e la tenuta agricola di Maccarese, dove è appena stato piantato il mandorleto più grande d’Italia.
Una collezione di business che dovrebbe consentire alla famiglia veneta di archiviare rapidamente e senza troppi danni le ferite (anche finanziarie) lasciate dalla tragedia del Polcevera e dall’addio forzato ad Aspi.