«Fate presto». L’appello viene in contemporanea da Bruxelles e da Torino, è un messaggio inequivocabile che unisce la Commissione europea e gli imprenditori italiani, è una sorta di girotondo attorno a Palazzo Chigi con cui si chiede al governo di compiere l’ultimo passo per cambiare la manovra, è la richiesta di velocizzare una svolta che metta ordine nei conti pubblici dopo l’epopea dei «numerini». Fare presto è oltremodo necessario, anche per mitigare il mondo finanziario internazionale che — riferiscono fonti istituzionali accreditate — negli ultimi tempi ha lanciato segnali «molto meno indulgenti» rispetto a quelli del mondo politico europeo: le banche d’affari sono sul piede di guerra.
Ed è evidente come l’esecutivo sia predisposto ormai alla mediazione, è dalla scorsa settimana che i toni velleitari hanno lasciato spazio al realismo, da quando è stato dato l’ok all’istituzione di una task force tra gli uomini di via XX Settembre e la struttura della Commissione. È l’Economia insomma che sta gestendo la trattativa, è Tria il vero trait d’union tra Roma e Bruxelles, nonostante Di Maio e Salvini abbiano riconosciuto al premier il ruolo di «regista» per una ragione squisitamente politica: se serve trovare equilibrio nei conti, serve anche garantire uno spazio a Conte. Lo rivela un autorevole ministro, che parla di «ingiustizia» verso il collega del Tesoro e racconta pure come Tria si sia «un po’ risentito», ma abbia «compreso la linea» impostata dal capo di M5S e dal leader della Lega.
La «delega ad hoc» — consegnata al presidente del Consiglio attraverso l’inusuale comunicato di domenica — serve ai due vicepremier (anche) per garantirsi un atterraggio quanto più morbido possibile quando sarà chiaro il ridimensionamento degli obiettivi iniziali. Perché di questo si tratta, lo si evince dal modo in cui il sottosegretario Giorgetti ieri ha spiegato che la manovra «cambierà il giusto e in meglio»: «Certo, il sentiero è stretto». In ballo ci sono il reddito di cittadinanza e la revisione della Fornero, che dovrebbero subire una sostanziosa sforbiciata, con un risparmio che è stato calcolato tra il 30 e il 50% delle risorse stanziate. Lo ammette un sottosegretario leghista che lavora alla manovra: «Un conto è quanto viene messo a bilancio, altra cosa è quanto davvero si spenderà».
È nell’interpretazione dei numeri che si muove dunque la trattativa con l’Unione, è in quelle pieghe che il Quirinale confida si possa trovare un’intesa, con l’auspicio che non sia un «negoziato rigido». A più riprese la Commissione europea ha delineato i limiti del compromesso: è il 2% del rapporto tra deficit e Pil la «soglia massima di tolleranza» garantita all’Italia. Perciò la dichiarazione di Conte, che ieri ha smentito di voler scendere sotto il 2%, è solo un artificio mediatico, consente di coprire la «distanza» con Bruxelles. Distanza che «ancora esiste», come ha spiegato Moscovici. In più gli ultimi dati economici «non aiutano l’Italia nella mediazione», dice un rappresentante del governo. Cosa di cui Di Maio e Salvini sono consapevoli: ecco perché — informati del braccio di ferro — hanno dato segni di disponibilità al compromesso.
Compromesso che dovrà peraltro realizzarsi in tempi rapidi: una settimana al più, non oltre. All’appuntamento europeo del 19 dicembre l’Italia dovrà presentarsi infatti con la nuova manovra già approvata da un ramo del Parlamento, per evitare che si dia inizio alla procedura d’infrazione. Un epilogo che — come sottolinea il titolare del Viminale — «non conviene né a noi né all’Unione». Pertanto, dopo il primo passaggio alla Camera, sarà al Senato che l’esecutivo mostrerà le carte, attraverso un maxi emendamento su cui porrà la fiducia.
Il catalogo è questo per Palazzo Chigi, stretto dai numeri del Pil e da quelli dei sondaggi. Perché è vero che la Lega — al contrario di M5S — continua a mietere consensi nelle ricerche demoscopiche, ma è altrettanto vero che il trend potrebbe essere intaccato se alla lunga Salvini venisse identificato come l’azionista del «governo del meno». Di qui l’offensiva mediatica verso gli imprenditori del Nord. Il leader del Carroccio ieri sera ha avuto parole salaci nei riguardi del presidente di Confindustria, al pari del capo dei grillini.
Ma c’è un motivo se Giorgetti ha usato accenti diversi sulla kermesse di Torino: «Noi non viviamo sulla luna ma in mezzo alla gente. Tutti hanno il diritto di manifestare e la politica ha il dovere di ascoltare». La svolta del governo si avvicina, sulla manovra come sulle opere pubbliche. Anche Di Maio si sta preparando, anche sulla Tav.