Altro che tregua. Il vertice sull’autonomia di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna è finito oltre la mezzanotte, dopo tre ore di diverbi e reciproche accuse. Per Salvini «i 5 Stelle fanno muro e si nascondono dietro i burocrati», mentre a sentire Di Maio «non c’è nessun blocco, ma quando si governa le cose si fanno in due». Basta ultimatum, è il messaggio del capo del Movimento, seccato perché il leader della Lega nel bel mezzo di una riunione tesissima ha mollato Palazzo Chigi «per andarsene in tv da Bianca Berlinguer», cedendo la seggiola a Giancarlo Giorgetti: «È come se fossi io…». Quando Danilo Toninelli è arrivato, gli umori erano ormai tali che nemmeno sui destini incrociati di Atlantia e Alitalia è saltato fuori uno straccio di intesa. Governo bloccato e lo spettro del voto anticipato che aleggia tra Montecitorio e Palazzo Chigi.
L’accordo sull’autonomia è lontano. La bozza che Salvini voleva approvare oggi stesso, non sarà nel pomeriggio sul tavolo del Consiglio dei ministri: tutto rinviato al prossimo mercoledì. Sono le sette quando il «Capitano» della Lega entra al vertice di Palazzo Chigi con alcune idee fisse nella testa. Battere cassa, forte della vittoria del «partito del sì» sul fronte delle Olimpiadi invernali. Accelerare su autonomia e flat tax. E stanare i 5 Stelle. «Basta frenare — si è sfogato il leader con i suoi — Io voglio governare quattro anni, ma un no al taglio delle tasse non lo accetto».
Ci sono Fraccaro, Buffagni, Garavaglia ed Erika Stefani e al premier Giuseppe Conte tocca arbitrare l’ennesimo braccio di ferro. Il capo politico del M5S non intende cedere ai diktat, né piegarsi al pressing della Lega che «strumentalizza Olimpiadi e Tav». E se Salvini ritiene che il testo base dell’autonomia non abbia bisogno di emendamenti, Di Maio chiede di consentire alle commissioni parlamentari di esaminare e correggere il provvedimento. Deciso a incidere sulle materie da trasferire alle regioni del Nord produttivo, il capo del M5S invoca il tempo che serve a «sciogliere i nodi su ambiente, sanità, trasferimenti fiscali alle Regioni, scuola, trasporti». Sa di non poter fermare la corsa del Carroccio verso l’autonomismo, perché il contratto lo prevede, ma vuole far valere le ragioni del M5S.
«L’ultima parola spetta al premier», avverte Di Maio, segnalando come i tecnici del Dipartimento affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi abbiano messo a verbale «una valutazione negativa» sulla bozza. Il ministro del Lavoro, che al mattino aveva fatto il punto con i ministri Costa, Grillo, Bonisoli e Toninelli, gioca d’azzardo. Ma non è un bluff. Il Dagl in effetti ha messo a verbale come l’applicazione dell’articolo 116 della Costituzione non debba comportare un aumento della spesa complessiva nazionale per le materie oggetto di eventuale trasferimento.
«Questi vogliono la secessione», è la battuta attribuita a Di Maio. Sospetti infondati, ribattono i leghisti: «La bozza non toglie nemmeno un centesimo alle regioni del Sud». E la tensione è tale che un accordo sul destino di Atlantia dopo il drammatico crollo del Ponte di Genova si rivela impossibile. Di Maio e Toninelli tentano il blitz, formalizzando la proposta di revocare la concessione ad Autostrade. Ma Salvini è contrario. Teme che stoppare la concessione impedisca di coinvolgere in Alitalia l’azienda della famiglia Benetton (Atlantia), riducendo quasi a zero le possibilità di salvare la compagnia di bandiera.