«Dobbiamo evitare che l’Italia reclami trattamenti speciali che se concessi a tutti porterebbero alla fine dell’euro». Con queste parole Jean-Claude Juncker apre la crisi tra governo italiano e il resto dell’Unione europea. Dunque è questa la posta in palio, il rischio che la manovra in deficit dei gialloverdi comporta per tutto il continente. «L’esecutivo di Roma — ha aggiunto il presidente della Commissione Ue — si sta allontanando dalle regole di bilancio che abbiamo concordato tutti insieme, non vorrei che dopo avere affrontato la crisi greca dovessimotrovarci ad affrontare una crisi italiana». Parole che arrivano al termine di una giornata già dura per l’esecutivo, con Giovanni Tria messo sotto processo dai 18 colleghi della zona euro che nel Lussemburgo gli chiedono di cambiare la manovra. Intanto la Borsa che non rimbalza dopo i crolli di venerdì scorso e, anzi, chiude con una flessione dello 0,49% mentre lo spread si arrampica fino a 282 punti base quando si sparge la notizia che il ministro lascerà il Granducato in serata, al termine dell’Eurogruppo, per tornare di fretta e furia a Roma dove il Def è ancora per aria. Oggi Tria non sarà all’Ecofin, la riunione dei 28 ministri europei.
È metà giornata quando Tria viene ripreso dalle telecamere del palazzo dei vertici Ue nel Granducato che sorride imbarazzato, impacciato abbassa lo sguardo e fa spallucce mentre stringe la mano a Pierre Moscovici, quasi a giustificarsi di essersi piegato alla voglia di spesa pubblica di Salvini e Di Maio. Quindi gesticola, mima il Pil che sale come a dire che magicamente risolverà ogni problema. Non basta a giustificare quel 2,4% di deficit inserito nel Def mentre appena un mese fa a Vienna aveva preso l’impegno a fermarlo all’1,6%. Viene subito attaccato dal francese Le Maire e dall’olandese Hoekstra. Persino il presidente dell’Eurogruppo, il morbidissimo portoghese Mario Centeno, chiede spiegazioni a Tria di quel peggioramento del deficit strutturale di almeno 14 miliardi all’anno fino al 2021.
Così il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis parte subito alla carica: «A prima vista i numeri del bilancio italiano non sembrano compatibili con le regole del Patto». In gergo europeo significa bocciatura della manovra, che sarà notificata a Bruxelles il 15 ottobre, e procedura su deficit e debito che commissarierà l’Italia per anni. Nel chiuso dell’Eurogruppo e poi nelle bilaterali con Dombrovskis e Moscovi, all’unisono a Tria arriva la stessa richiesta: per evitare le bocciature Ue e placare i mercati, entro il 15 ottobre il ministro deve provare a cambiare i numeri, a tornare indietro sul deficit. Richiesta che lo stesso commissario francese porterà in chiaro in conferenza stampa: «La posizione della Commissione è di convincere le autorità italiane di ritornare verso l’obiettivo di medio termine». Ovvero a quel 1,6% di deficit concesso da Bruxelles a inizio settembre forzando al massimo le regole con uno sconto di 9 miliardi. Tria nel chiuso del vertice però difende la manovra, ripete che l’Europa deve stare «tranquilla» perché le misure gialloverdi «faranno salire la crescita e scendere il debito». Però incalzato dai giornalisti ammette: se la ricetta non funzionerà «cambieremo la manovra». Già, in futuro, non subito. Quando i danni potrebbero già essere irreparabili.
Intanto lo spread sale, Di Maio accusa Moscovici di avere fatto «terrorismo » con le sue dichiarazioni. Salvini aggiunge che «nessuno si beve le minacce di Juncker». Il francese replica duro: i mercati reagiscono alla manovra, non a chi cerca di migliorarla. Il caso Italia oggi sarà esaminato anche dal collegio dei commissari Ue presieduto da Juncker, che però ha già detto come la pensa. Scappando dall’Eurogruppo Tria gli risponde: «Non ci sarà nessuna fine dell’euro». Quindi corre verso l’aeroporto per rientrare precipitosamente a Roma.