Un avviso al governo. Una mobilitazione dei sindacati metalmeccanici contemporaneamente a Milano, Napoli e Firenze. Un esecutivo paragonato a «Schettino», che rischia di mandarci a sbattere in autunno al primo scoglio se non corregge la rotta rimettendo al centro dell’agenda politica lavoro, industria, diritti e salari. La novità delle manifestazioni di ieri a Milano, Napoli e Firenze è la ritrovata convergenza delle sigle delle tute blu, spesso divise da interessi di bottega in alcune vicende (caso Fca su tutte) e ora di nuovo a braccetto.
A rappresentare plasticamente il cambio di direzione la presenza sul palco di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, con un lungo passato alla guida delle tute blu della Fiom. Accanto a Marco Bentivogli, segretario generale Fim-Cisl, Landini ne ha condiviso l’impostazione. Parole quelle di Bentivogli a Milano in piazza Duomo, con un leitmotiv di fondo. Il governo sarebbe il grande assente nelle partite dell’industria (Fca è la cartina di tornasole, considerando il negoziato naufragato con Renault, ora appena riavviato). «Non spetta al sindacato fare opposizione politica, ma quando si attacca il lavoro non è un optional mobilitarsi», ha attaccato Bentivogli cucendosi i panni di «federatore» dei metalmeccanici e individuando nel vicepremier Matteo Salvini — fresco vincitore delle europee — il bersaglio di alcune invettive. «A chi dice “prima gli italiani” noi diciamo “prima il lavoro”», il passaggio più tranchant di Bentivogli.
Alle tre manifestazioni erano presenti i vertici di Cgil, Cisl e Uil e i leader di categoria. A Firenze Annamaria Furlan e il segretario generale della Uilm Rocco Palombella. A Napoli Carmelo Barbagallo e la leder della Fiom Francesca Re David. L’anticamera di una piattaforma condivisa per il rinnovo del contratto nazionale. Landini ha chiesto «una politica industriale per un settore strategico», che vede 158 tavoli di crisi aperti, «oltre 200 mila lavoratori coinvolti, 20 aree di crisi complessa e 70 mila lavoratori in mobilità in deroga, che percepiscono un assegno mensile di 500-600 euro». Numeri eloquenti. Che interessano due ministeri chiave — lo Sviluppo economico e il Lavoro — incarnati dalla stessa persona: il vicepremier Luigi Di Maio, il cui spartito è sembrato finora, per i metalmeccanici, confuso anche per il «repulisti» al dicastero dello Sviluppo in cui si è privato di alcune competenze che avrebbero potuto essere utili ora in cui riemerge, tra le altre, la grana Whirlpool.
Se le manifestazioni di ieri possano essere lette come un antipasto di quello che potrebbe accadere in autunno è presto per dirlo. Landini ha annunciato la volontà di proclamare uno sciopero generale dopo l’estate. Furlan e Barbagallo non si sbilanciano. «Gli scioperi io non li minaccio: se necessario, li faccio», ha precisato il segretario generale della Uil. Ma è chiaro che l’attesa ora è tutta per la prossima legge di Bilancio in cui i sindacati di metalmeccanici chiedono una forte discontinuità rispetto a quella precedente, abbassando il costo del lavoro sui dipendenti. Resta il balletto di cifre sulle adesioni allo sciopero. I sindacati delle tute blu parlano di «piazze piene e fabbriche vuote» a sottolineare la ritrovata capacità di mobilitazione ed intermediazione. Federmeccanica è di diverso avviso: il tasso di partecipazione sarebbe «pari al 19,3% della forza occupata».