Le profezie sulla “fine del lavoro” risalgono all’alba della civiltà industriale. Anche oggi c’è un’opinione diffusa sulla rivoluzione tecnologica, ed è che l’intelligenza artificiale sostituirà gli uomini, cancellando il lavoro come lo conosciamo. Un’idea del tutto infondata. Tuttavia le nostre inquietudini sono un sintomo della vera trasformazione in atto: non una scomparsa del lavoro, ma la sua digitalizzazione.
Con un’inchiesta sul nuovo capitalismo delle piattaforme, Antonio Casilli, professore di sociologia alla Télécom Paris, getta luce sulla manodopera dell’economia contemporanea: centinaia di migliaia di schiavi del clic vengono reclutati in Asia, in Africa e in America Latina per leggere e filtrare commenti, classificare le informazioni e aiutare gli algoritmi ad apprendere. È una rivoluzione che ci riguarda da vicino, molto più di quanto vorremmo vedere, perché trasfigura il lavoro in un gesto semplice, frammentario e pagato sempre meno o perfino nulla, quando a compierlo sono addirittura i consumatori. L’autore di “Schiavi del clic” esplora le strategie e le regole del nuovo taylorismo, nel quale Amazon, Facebook, Uber e Google sono gli attori principali grazie alla capacità di sfruttare i propri utenti inducendo gesti produttivi non remunerati.
Casilli inoltre mostra come quel “lavoro non pagato” sia tutt’altro che libero e volontario, dal momento che le costrizioni sociali e le ideologie dominanti hanno un’influenza decisiva nelle scelte delle persone, le quali possono ritenere conveniente la propria dedizione gratuita ai social network in cambio di un servizio solo apparentemente gratuito, ma in realtà pagato con la moneta dell’attenzione rivolta alla pubblicità. L’autore sottolinea il conseguente rovesciamento del rapporto tra macchine e umani: non sono le macchine che lavorano al servizio degli umani, bensì sono gli umani che, generando fatturato per i giganti dei media sociali, lavorano al servizio delle macchine.
Servono tutti gli strumenti della sociologia e della scienza politica, del diritto e dell’informatica per smascherare le logiche economiche della società plasmata dalle piattaforme digitali. Per la prima volta, con questo libro riusciamo a immaginarne il superamento: la posta in gioco della nostra epoca è la lotta per il riconoscimento del lavoro di chi fa funzionare le macchine senza diritti e, spesso, senza consapevolezza. Siamo infatti tutti lavoratori digitali, e per questo abbiamo bisogno di una nuova coscienza di classe.