Avanti, avanti, sì, ma con gli occhi bene aperti. Perchè la crescita è robusta, l’inflazione sotto controllo, le politiche monetarie accomodanti, i mercati poco “volatili” e il prezzo delle commodity in risalita.
E il rischio? Che sia di credito o politico c’è, ma non si vede. E per questo, quando arriva, può fare ancor più male.
Ma c’è anche una buona notizia per l’Italia: una quota significativa dei nostri principali partners è “più sicura” per le nostre esportazioni. Ovvero, i Paesi che hanno diminuito i propri fattori di rischio rappresentano circa 70 miliardi di euro di export italiano, pari a quasi il 20% del totale. Considerando che tra questi ci sono partners importanti per le nostre vendite, come Germania, Egitto, Indonesia, Argentina, Russia e Kuwait, si può affermare che circa tre quarti dell’export italiano si rivolge verso Paesi “stabili”.
Diversamente dall’anno scorso, la nuova “Mappa dei Rischi 2018”, elaborata da Sace – che con Simest costituisce il Polo per l’internazionalizzazione del gruppo Cassa Depositi e Prestiti –, non fotografa un rischio evidente, con un volto, un nome e un cognome (l’anno scorso era il neo presidente Usa Trump). Ma tante micce potenzialmente esplosive: dal Medio Oriente alla Corea del Nord, dal Maghreb all’Iran. «Di fronte all’attuale crescita economica mondiale – ha spiegato il presidente di Sace, Beniamino Quintieri – i rischi più evidenti per il nostro sistema delle imprese possono essere il riaccendersi di conflitti e ritorsioni commerciali, ma anche un aggiustamento del Nafta, cioè l’accordo tra Canada, Usa e Messico». Tuttavia, su 198 Paesi analizzati, sono 138 quelli che, in media, hanno un profilo di rischio credito migliore o invariato rispetto allo scorso anno. Trentadue quelli che mostrano un upgrade, 10 i peggiorati.
Chi sale e chi scende
Tra gli upgrade di categoria troviamo l’Egitto, la Bielorussia, l’Angola (che beneficia del progressivo rialzo del prezzo del petrolio). Progressi significativi anche in Indonesia e Arabia Saudita, Russia (il cui indice è risalito da 68 a 66) e Brasile (da 60 a 56), che negli anni passati hanno subito il ciclo negativo delle commodity. Alla Russia – ha aggiunto Terzulli – si è sommato anche l’effetto negativo delle sanzioni economiche, mentre il Brasile ha vissuto uno scandalo di corruzione che ha minato il settore delle costruzioni e dell’oil&gas.
La Risk Map di Sace premia anche chi fa riforme strutturali. Come l’Argentina (che risale da 82 a 74), dove le esportazioni italiane ammontano a oltre 1 miliardo di euro, l’India (che migliora da 57 a 54 e che registra un tasso di crescita del Pil superiore al 7%), il cui primo ministro Modi, dal 2014 sta puntando a rendere il Paese un hub manifatturiero. In generale, però, sono i Paesi più avanzati quelli che registrano i miglioramenti più consistenti sia rispetto al 2017 che nel periodo 2015-2018. La stessa Italia (il nostro indice è passato da 53 a 46), oltre a Germania, Islanda, Slovenia e Portogallo mostrano una variazione positiva del profilo di rischio del credito superiore alla media, grazie al miglioramento dei fondamentali economici e al contestuale upgrade dalle agenzie di rating.
Ma c’è anche chi peggiora, come una delle destinazionipiù importanti dell’export italiano,la Cina (la cui media del rischio sale da 36 a 44) e dove nel periodo gennaio-novembre 2017 l’export italiano ha raggiunto gli oltre 12,3 miliardi di euro, (pari a + 24% rispetto allo stesso periodo 2016).
«La Cina resta un Paese dalle enormi potenzialità – ha concluso Quintieri – che sconta le preoccupazioni sull’elevato livello di indebitamento del suo sistema finanziario legato al sostegno delle imprese di Stato. Tema noto agli investitori ma su cui permangono opacità».
Le violazioni contrattuali
Infine, manca ancora una casistica definita, ma crescono i casi di violazioni unilaterali dei contratti. Secondo Miga (l’agenzia della Banca mondiale per gli investimenti), la violazione di quanto previsto da contratti di investimento con partner esteri, è già da tempo uno dei principali rischi degli investimenti nei Paesi emergenti, anche in presenza di una sentenza favorevole in tribunale. Più a rischio sono i settori in cui le imprese operano in regime di concessione, come le utility, le infrastrutture e lo sfruttamento di commodity.