Abituato all’oggettività dei numeri e capace di muoversi nel ginepraio dei bilanci, Cottarelli fatica a comprendere le sfumature verbali della politica ed è disorientato dai meccanismi di Palazzo. Perciò nelle (ripetute) telefonate a Di Maio e Giorgetti ha formulato concetti molto semplici: «Come va la mediazione? Pensate di trovare l’accordo?». Il suo interesse per la trattativa tra M5S e Lega lasciava trasparire ieri l’intimo desiderio di vedersi sollevato dall’incarico, e di passare il testimone a un esecutivo più solido. Anche perché il rischio, numeri alla mano, è di fare in Parlamento un pieno di «no» che sarebbe senza precedenti nella storia repubblicana. E il risultato finirebbe per impattare pesantemente sul Quirinale, dato che quello di Cottarelli è proprio un «governo del presidente».
Anche per questo motivo il Colle ha offerto altro tempo al capo del Movimento e al segretario del Carroccio per trovare un compromesso sull’esecutivo politico. È stato Mattarella a convocare Di Maio al Quirinale, appena qualche giorno dopo la minaccia di impeachment ricevuta dal leader grillino. Il presidente della Repubblica non ha mancato di sottolinearlo all’ospite, ricordando che la richiesta di messa in stato d’accusa presuppone un reato penale. E dunque prevede la galera. Superato l’imbarazzo iniziale da parte di Di Maio, il colloquio si è concentrato sul tentativo di trovare una soluzione che resta attorcigliata attorno al nodo scorsoio del ministero dell’Economia.
La proposta maturata ieri puntava a spostare Savona agli Esteri, per affidare Via XX Settembre all’ex vice direttore generale di Bankitalia Ciocca, personalità legata a Ciampi e che vanta una forte rete di relazioni a Bruxelles e a Francoforte. Il fatto è che Salvini continua a resistere a questa ipotesi di compromesso, e si dice pronto a un rilancio per costruire un «esecutivo forte» retto sempre da M5S e Lega con l’appoggio di Fratelli d’Italia. È un modo per sfuggire al tentativo di metter fine al suo movimentismo, per evitare di essere posto dinnanzi a un bivio: accettare un compromesso sulla squadra del governo politico, oppure rassegnarsi alle elezioni anticipate in piena estate e non tra settembre e ottobre, che era (e resta) l’obiettivo del leader leghista.
La sua idea di favorire la nascita del gabinetto tecnico guidato da Cottarelli, ma senza impegnarsi per una «fiducia tecnica», sembra non reggere alle obiezioni del Colle, sostenuto da Di Maio e dal Pd. E grazie anche al silenzio-assenso di Forza Italia, che in ogni modo tenta di evitare il ritorno alle urne e si offre come «facilitatore» all’operato di Mattarella. Peraltro senza l’astensione della Lega, Cottarelli faticherebbe a superare le forche caudine del Parlamento: il voto contrario di M5S impedirebbe al presidente del Consiglio incaricato di passare indenne, anche se — per ipotesi — forzisti e democrat lo sostenessero. Ecco il «doppio cerino» che l’azione di Quirinale e M5s metterebbe nelle mani di Salvini.
Ma all’ottantottesimo giorno di penultimatum la soluzione del rebus tarda ad arrivare. E Mattarella ha fatto sapere che non ci sarà quantomeno fino al 3 giugno. D’altronde altre opzioni non sono più contemplate. L’ipotesi di un governo di centrodestra guidato da Salvini è stata di nuovo scartata da Salvini, che non vuole restare «appeso» all’eventuale voto del Pd. E proprio dal Pd, in questi giorni, erano stati lanciati nuovi segnali a Di Maio per riaprire uno spiraglio: la tesi dei Democratici è che i Cinquestelle stanno assecondando il copione del segretario leghista, intenzionato a dettare il timing per il ritorno alle urne. Ma Di Maio, scottato dalla trattativa con Renzi, ha risposto picche.
E si capisce dunque l’intenzione di Salvini: i suoi continui rilanci mirano a far chiudere le finestre elettorali estive, così da ottenere il voto senza dover cedere alle pressioni su Cottarelli. Settembre è la data limite, ottobre verrebbe ancora meglio. E magari, per riuscire nell’impresa, medita di rilanciare sulla legge elettorale, per offrire a Di Maio un accordo sul premio di maggioranza alla lista. Sarebbe l’offerta del ballottaggio tra loro nelle urne ma anche la definitiva giubilazione del berlusconismo.