L’ultimo libro di Davide Rampello racconta una «Italia fatta a mano» (come recita il titolo del libro, edito da Skira) che merita di essere riscoperta sul piano culturale così come su quello economico. È l’Italia dei mestieri artigianali che contribuisce all’agricoltura più innovativa, alla competitività di settori come la moda e l’arredo, alla crescita di un turismo originale e rispettoso dei territori. La posizione di Rampello non è la riproposizione tardiva del piccolo è bello. È l’elogio di una biodiversità preziosa che rappresenta un’opportunità per la crescita del Paese. Su questo terreno – dice Rampello – è possibile immaginare la riqualificazione di borghi e province e il rilancio di produzioni di nicchia che meritano attenzione a livello internazionale.
Se è vero che la tesi avanzata dal curatore del prossimo padiglione Italia all’Expo 2020 Dubai è ormai nota al grande pubblico italiano, colpisce che osservatori internazionali qualificati facciano proprie posizioni analoghe con una determinazione cui non eravamo abituati. Al convegno Next organizzato da Altagamma qualche settimana fa a Milano sul futuro della creatività e del design, Adrian Cheng, fondatore di K11 e punto di riferimento indiscusso sui nuovi modelli di distribuzione in Cina, ha proposto ragionamenti simili. Secondo Cheng, l’industria cinese ha raggiunto da tempo, sul piano dell’innovazione tecnologica, la manifattura europea. Anche sul fronte della creatività e del design Cheng ha espresso pochi dubbi sulla capacità delle imprese asiatiche di colmare il gap storico con il vecchio continente. Diverso il ragionamento sul fronte del saper fare artigiano. Cheng ha ribadito che l’unico aspetto su cui i produttori asiatici non possono competere con l’Europa è proprio quello del saper fare ereditato dalla tradizione. Non stupisce dunque che Altagamma punti a rilanciare il legame fra il valore del prodotto italiano e una serie di mestieri che solo pochi Paesi europei hanno saputo mantenere nel corso di questi ultimi vent’anni. Lo spot dello scorso novembre su Discovery channel ha raccontato un’idea di lavoro che rende omaggio alla manualità e a pratiche che sono all’origine dell’unicità del prodotto italiano.
La stretta osservanza della tradizione, va sottolineato, non è sufficiente a competere sui mercati internazionali. In uno scenario segnato dall’impatto delle tecnologie 4.0, limitarsi a conservare gesti e saperi ereditati dalla storia non basta. Su questo fronte, Lisa White, voce autorevole dell’agenzia Wgsn specializzata nell’identificare i trend del futuro a venire, ha formulato proposte interessanti proprio in occasione dell’evento di Altagamma. Fra le principali tendenze dei prossimi anni, oltre a sostenibilità e green economy, la White ha annoverato quella dell’artigianalità digitale (digital craftmanship). Le difficoltà incontrate dalla distribuzione tradizionale e il peso crescente assunto dagli smartphone trasformerà in modo significativo il nostro modo di scegliere cosa comprare. Grazie alle nuove tecnologie è possibile disegnare collezioni virtuali per influencer reali, è possibile visitare yacht prima che qualcuno abbia iniziato la loro costruzione, sviluppare arredi su misura per un cliente conosciuto via Skype. Questa progettazione virtuale, che prefigura una varietà di prodotti sconosciuta nel mondo della produzione di massa, ha bisogno di una manifattura capace di ascoltare le richieste di clienti spesso molto esigenti, di gestire lo sviluppo del prodotto in tempi contenuti, di farsi carico di lotti di dimensione minima.
Questo modo di fare impresa è già oggi parte del Dna del miglior Made in Italy. La migliore manifattura italiana ha da tempo costruito la propria competitività sul modello di un’industria “su misura”. La capacità di combinare digitale e tradizione può rappresentare uno degli aspetti distintivi della migliore manifattura europea. Le vicende recenti di Adidas mettono in evidenza la difficoltà di riportare la produzione in Europa scommettendo solo sulla tecnologia. Il ritorno della produzione di sneaker in Cina testimonia come, in assenza di elementi distintivi, la produzione europea difficilmente possa far valere la propria competitività.
La combinazione fra digitale di punta e mestieri della tradizione può apparire incoerente a un’opinione pubblica poco abituata a conoscere da vicino il Made in Italy. In realtà la saldatura fra digitale e maestria artigiana, già oggi abbondantemente praticata, è l’unica strada per ricomporre un’alleanza fra creatività e manifattura tradizionale, fra talenti e territori in difficoltà, fra generazioni diverse che hanno bisogno di ritrovare punti di contatto fondati sull’opportunità economica oltre che sul riconoscimento culturale. È proprio sulla gestione di questi opposti (apparenti) che oggi è possibile immaginare un progetto di sviluppo che guardi al futuro del nostro Paese.