«Io penso che ci siano i margini per una nuova maggioranza e un nuovo governo, spero di centrodestra » dopo questo voto e con molta probabilità «guidato da un altro premier». Niente elezioni anticipate, dunque, ma una coalizione ampia composta da «tutti i signori parlamentari che non vorranno certo lasciare il loro posto non avendo altri lavori». Palazzo Bezzi, nella centralissima via Roma a Ravenna. Silvio Berlusconi si ferma nella hall dell’albergo in cui ha riposato un po’ dopo il viaggio in elicottero da Milano e, prima di raggiungere il comizio dei tre leader del centrodestra in una Piazza del Popolo che sarà gremita da militanti e bandiere, si ferma a ragionare del dopo. Il Cavaliere sembra in forma, ringalluzzito dalle piazze calabresi battute in sostegno della “sua” Jole Santelli, ma sente «profumo di vittoria» anche qui in Emilia Romagna e allora eccolo, con lo show dei “tre tenori” organizzato all’ultimo momento, a mettere anche il suo cappello. «Ho letto la scaletta e mi vorrebbero far parlare cinque minuti, ma allora me ne stavo ad Arcore….», sbuffa rivolto ai suoi collaboratori. Poi risponde alle domande e, come spesso accade, l’ottantenne leader sembra avere una visione lucida che va oltre la propaganda salviniana urlata da lì a poco dal palco, quella del «lunedì manderemo a casa Conte, Renzi, Di Maio e Zingaretti: cosa sono, asserragliati nel bunker di Berlino?». O, per dirla con Giorgia Meloni, «citofoneremo al campanello del premier e gli chiederemo se sta preparando gli scatoloni ».
Berlusconi prima di indossare il suo paltò in hotel si dice contrario alla richiesta di dimissioni dopo l’eventuale vittoria. «Semplicemente perché dovrebbero farlo da soli e se non lo facessero si concretizzerebbe la fine della democrazia, la dittatura di quella che è ormai una minoranza nel Paese contro la maggioranza degli italiani: tutte le elezioni regionali dicono questo». E poi, aggiunge, «D’Alema nel 2000 lo ha fatto ». E dopo l’eventuale caduta del Conte II? Il leader di Forza Italia non ha esitazione: «Io penso che ci siano i margini per la nascita di una nuova maggioranza, io auspico di centrodestra, perché sarà difficile convincere i signori parlamentari a lasciare il posto anzitempo». E chi dovrebbe guidarla? «Quello poi lo vedremo… », dice prima di lasciare Palazzo Bezzi per il comizio, accompagnato da Antonio Tajani, Licia Ronzulli e Annamaria Bernini. Sotto il palco, a sorpresa, lo attenderà un coro “Silvio, Silvio” inedito per una piazza leghista. E lui scatenerà applausi promettendo Vittorio Sgarbi assessore alla Cultura. Ma un ragionamento simile a quello dell’ex premier – e difforme dalla lettura di Salvini – lo aveva fatto a sorpresa in giornata anche il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, nella sua solitaria chiusura a Bologna: «Domenica è uno scontro tra la liberazione e la resistenza, se mi dite che cambiano il governo e ne fanno un altro, allora ci posso anche credere, ma che si vada a votare no. Questi resistono».
Sul palco di Ravenna parte l’inno nazionale, i simboli di tutti e tre i partiti sullo sfondo, i tre mettono la mano al petto, con loro Lucia Borgonzoni. Salvini spende l’ultimo filo di voce dopo il mese ininterrotto di comizi-ring contro Stefano Bonaccini e contro le Sardine. Se vince sarà molto “roba” sua, ma se perde rischia di essere travolto. Lo sa bene, appare teso, anche se scommette sulla «stravittoria di Lucia». Promette un «assessorato alla sicurezza» che da lunedì porterà la lotta alla droga «porta a porta, negozio per negozio », in barba a «qualche benpensante che pensa che debba prevalere la privacy» sul diritto alla sicurezza. Una stoccata indiretta ma neanche tanto al capo della polizia Franco Gabrielli che aveva criticato 24 ore prima la strategia del citofono. Più del leader però è Giorgia Meloni a scaldare la piazza con un trionfo della destra-destra. Contro le sardine «che sono il Pd2», contro Soros «re della speculazione che le ha benedette », contro il «governo dei miracolati » e «la sinistra che vuole dare il voto agli immigrati perché fanno il lavoro che gli italiani non fanno più: votano Pd». Per concludre col tormentone «Sono Giorgia» e «con Salvini e Berlusconi sono pronta a governare questo Paese». Bergonzoni prova a imitarla col «prima gli italiani », «cancelleremo l’Irpef», «no alle moschee ovunque» e «basta coi campi nomadi». Scende il sipario e ora è chiaro che se domenica vincesse lei, l’Emilia Romagna non cambierebbe solo giunta ma anche pelle.