L’incontro tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio c’è stato, ma niente affatto risolutivo. E il gelo con Giuseppe Conte resta. Anzi aumenta. In un gioco di reciproche diffidenze che vede il premier sempre più isolato, ma anche i suoi vice ancora incapaci di recuperare una sintonia al di là dei «buoni rapporti personali» che entrambi riconoscono.
Conte non ha gradito l’accusa di voler tentare un ribaltone lanciata dal leader della Lega. In caso di crisi, ha chiarito, «andrei in Parlamento per trasparenza e non per una nuova maggioranza». Ai cronisti ha suggerito di «non fare i peggiori ragionamenti della prima Repubblica: restituiamo alla politica la sua nobiltà, la sua nobile vocazione». A Salvini e a Di Maio ha lanciato un altro messaggio: «Dobbiamo lavorare, non chiacchierare».
Ma per gli alleati ricucire gli strappi delle ultime due settimane non è semplice. Le parole di Conte in Senato sul Russiagate? «Mi interessano meno di zero», ha commentato sprezzante Salvini. E Di Maio deve contenere la rabbia dei suoi contro il premier per il via libera alla Tav.
Anche le convergenze tra i vicepremier stentano però a vedersi. L’incontro è durato un’ora e si è tenuto senza avvertire Conte, che pure ha dato la sua benedizione: «È cosa buona e giusta». Al termine soltanto una nota glaciale e identica: «I due vicepremier hanno fatto il punto della situazione politica alla luce degli avvenimenti dell’ultima settimana». A parole entrambi invitano a non litigare e a «fare», ma sui fatti e sulle priorità dell’agenda di Governo non c’è intesa. Salvini ha spinto di nuovo sulle opere e sui cantieri. Dalla Lega, in particolare, ieri è partito il pressing su Palazzo Chigi perché riprenda l’iter della Gronda di Genova, sospeso in attesa della procedura di caducazione della concessione ad Autostrade. Di Maio ha rimarcato l’esigenza del salario minimo, appellandosi al contratto di governo. Ma dal Carroccio la freddezza rimane massima. Ed è partito subito l’affondo sulla proposta di riduzione del cuneo fiscale avanzato dal ministro del Lavoro al workshop di ieri sul fisco con le parti sociali. Altra divisione plastica, vista la diserzione dei leghisti e la volontà di Salvini di rivedere in autonomia imprese e sindacati.
Ma è sulla possibilità di un rimpasto che gli animi si sono accesi. Il Carroccio continua a sostenere di non essere interessato alle poltrone, ma ai temi e ai modi con cui si portano avanti. «Toninelli non è un ministro, ma un disastro», ha confidato Salvini ai suoi dopo la diretta Facebook del ministro delle Infrastrutture contro la Tav Torino-Lione (si veda l’articolo accanto). E a Di Maio ha rinnovato le sue critiche a Sergio Costa (Ambiente) e a Elisabetta Trenta (Difesa). Il vicepremier M5S, dal canto suo, ha obiettato che se si dovesse giudicare nel merito, allora bisognerebbe vagliare anche le posizioni di Marco Bussetti alla Scuola e di Gian Marco Centinaio all’Agricoltura. Ma nessuno compie il primo passo. «Salvini vuole il rimpasto ma non lo chiede», sostengono fonti M5S. «Di Maio ha la forza per farlo?», ribattono dalla Lega.
In questo quadro ci si muove sugli altri fronti, a cominciare dall’autonomia. Anche là pochi avanzamenti nel colloquio tra Salvini e Di Maio. Ieri si è però tenuta a Palazzo Chigi la riunione tra Conte e i ministri Erika Stefani (Affari regionali) e Alberto Bonisoli (Beni culturali). «C’è ancora chiusura sui beni archeologici», ha affermato Stefani, registrando invece un’apertura sulle soprintendenze. «La linea della Lega non cambia, il M5S sia oggettivo», è l’invito. All’orizzonte, la prossima settimana, si staglia lo scoglio della parte finanziaria, tutta da affrontare.
Lo spettro della crisi, insomma, continua ad aleggiare, nonostante le dichiarazioni di voler proseguire. La domanda è: come? Su quali basi? Con quali programmi comuni? La Lega ha incassato alla Camera il disco verde al decreto sicurezza bis, ma 17 Cinque Stelle non hanno partecipato al voto. Ora il passaggio al Senato preoccupa, sebbene dai vertici M5S si rassicuri sulla capacità di tenere il gruppo compatto. E martedì in commissione Affari costituzionali alla Camera sarà incardinata la proposta di legge sul taglio di 345 parlamentari, che i Cinque Stelle vorrebbero vedere approvata definitivamente entro metà settembre. Quando però la vera quadra da trovare sarà sulla manovra.