Sono passati quasi trent’anni dal 1990. Quando per la prima volta Umberto Bossi radunò i militanti della Lega a Pontida. Ma la forza di attrazione dell’evento non si è ridotta. Al contrario. Domenica scorsa, secondo gli organizzatori, i presenti erano circa 80 mila. E, anche se le stime sono generose, è indubbio che il prato di Pontida fosse affollato come mai si era visto. Di certo, dal 1990 ad oggi si sono succedute molte, diverse Leghe.
La Lega Nord di Bossi voleva l’indipendenza della Padania. Un progetto ridimensionato, dopo la marcia sul Po del 1996. Una “marcetta”, a cui parteciparono in pochi. Roberto Maroni seguì lo stesso percorso, guardando, tuttavia, oltre. Il Po. Come ha fatto definitivamente e decisamente Matteo Salvini nel 2017.
Quando, per la prima volta, Bossi non ha parlato. Per marcare la svolta della Lega, avvenuta già da qualche anno. Dal 2014.
Quando Salvini ha dato un’impronta decisamente “nazionale” al partito. Sul modello del Front (oggi “Rassemblement”) National di Marine Le Pen. Sua amica personale. Così è sorta la Lega Nazionale. Un partito “sovranista”. Ostile alla Ue. E oggi è davvero “Nazionale”. Più di sempre.
Infatti, nel 2008, secondo i dati dell’Atlante Politico di Demos (per Repubblica), circa il 38% dei cittadini si definiva (molto o abbastanza) vicino alla Lega, nelle regioni del Nord, ma la quota scendeva al 23% nel Centro-Nord, che allora era ancora “zona Rossa”. E calava ulteriormente nel Sud e nelle Isole: al 15%.
Oggi è cambiato tutto. È un’altra Italia geo-politica. Certo, il Nord rimane l’area più “legata alla Lega”. Soprattutto il Nord Est: 52% di elettori che si sentono vicini al Partito di Salvini. Ma anche nel Nord Ovest il sentimento leghista appare elevato: 43%. Mentre nelle Regioni del Centro-Nord cala al 30%. Meno di quanto si osservi nel Mezzogiorno, dove oltre un terzo degli elettori (il 34%) si dice vicino alla Lega. Il Sud e le Isole sono, dunque, le zone dove questo orientamento politico si è sviluppato maggiormente nel corso dell’ultimo decennio.
Il prato di Pontida, dunque, riassume e ripropone un ri-sentimento “nazionale”. Che si alimenta delle paure. E, puntualmente, le alimenta. Un risentimento rivolto contro gli “altri”. Non solo gli immigrati, ma, sempre più, le élite che governano l’Europa e l’Italia. Le persone e i gruppi ai vertici delle istituzioni e della finanza. Come il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, bersaglio di commenti critici, per usare un eufemismo. Responsabile, in particolare, di non aver permesso il ritorno alle urne, dopo la rottura di Salvini e, di conseguenza, del governo. Non solo, ma, peggio, “colpevole” di aver favorito, comunque, accolto, la formazione di una nuova maggioranza. Pontida, dunque, è divenuta, ancora, il “Teatro delle Paure”. Dove è andata in scena la stigmatizzazione del Nemico.
Un rito celebrato da Matteo Salvini contro l’informazione al servizio dell’establishment. Identificata nel giornale dove scrivo, da quasi vent’anni. Il Nemico: personalizzato da Gad Lerner. Bersaglio di molte colpe, che gli sono state gridate in faccia, mentre camminava in mezzo alla folla. Giornalista, di sinistra, di Repubblica… e, infine: ebreo. Tanto per evocare un passato che non passa. Purtroppo.
A Pontida, dunque, è andata in scena un’altra Lega. Dopo la “Lega delle Leghe regionali” degli anni 80: Liga Veneta e Lega Lombarda, davanti a tutte. Dopo la Lega Padana, indipendentista – e secessionista – guidata da Bossi negli anni Novanta. Divenuta “Lega di governo” e alleata di Berlusconi, fino al 2012, guidata da Roberto Maroni. Fino all’avvento di Salvini, nel dicembre 2013. Matteo Salvini ha trasformato la Lega in un partito “personale”. Al quale fornisce volto e identità, oltre che orientamento. La Lega di Salvini, dopo il 2018, è andata al governo, insieme al M5s. Oggi è il primo partito in Italia, secondo le stime elettorali. Oltre il 30%.
Eppure, non è più al governo. Dopo che Salvini, in agosto, ha deciso di chiudere. Per andare a nuove elezioni e governare da solo. Le cose sono andate diversamente, com’è noto. E oggi Salvini è all’opposizione. Penalizzato, personalmente, dagli indici di (im)popolarità. Nonostante la Lega mantenga una base elettorale molto larga. E solida. Pontida, per questo, ha offerto al Capo l’occasione per ri-scattarsi. Rilanciarsi. Di fronte al suo popolo. E per dettare il percorso di guerra, dei prossimi mesi.
Dalla manifestazione contro il governo, ai referendum sulla legge elettorale, per tornare al proporzionale. Passando per le elezioni regionali in Regioni, fino a ieri ostili. Facendo attenzione a evocare i nemici e i pericoli che incombono su di noi. Per primi: gli stranieri che ci invadono. E ci minacciano. A casa nostra. È il clima dei nostri tempi.
Tempi feroci. D’altronde, commentando una precedente manifestazione a Pontida, nel settembre 2016, evocavo, nel titolo, la “Lega feroce sola contro tutti”. Tre anni dopo è cambiato poco. Al contrario. Non è cambiata la Lega. E non è cambiata la società. Non è cambiato il clima d’opinione. Così, la “Lega dei tempi feroci” amplifica un sentimento che, semmai, si è inasprito. Ma è difficile contrastare la Lega di Salvini senza cambiare linguaggio, valori. In politica e, soprattutto, nella vita quotidiana. Senza incamminarsi verso altri tempi. Dai “tempi feroci” verso “tempi miti”.