La parola chiave, quella da cui molto (o forse tutto) dipende, è «continuità». Continuità tra la vecchia Lega, quella che ha percepito il finanziamento ai partiti tra gli anni 2008 e 2010, e la Lega salviniana di oggi. Mercoledì 5 settembre, infatti, il Tribunale del riesame di Genova fornirà il responso sul blocco totale dei conti correnti leghisti fino ad arrivare alla bella cifra di 49 milioni (ad oggi siamo suppergiù a due milioni), così come chiesto dalla procura dopo la condanna di Umberto Bossi e Francesco Belsito per truffa ai danni dello Stato.
Per questo quella sentenza sarà letta con la massima attenzione: per i leghisti occorrerà capire fino a quale punto va intesa la «continuità» tra le due leghe. Se fosse intesa in maniera estensiva, il risultato sarebbe quello pronosticato ieri da Giancarlo Giorgetti: «Il 6 settembre la Lega chiude». È vero, lo scorso 14 dicembre la Gazzetta ufficiale ha registrato lo statuto depositato da Roberto Calderoli di una forza politica che si chiama «Lega per Salvini premier», simbolo assai simile a quello stampato sulle schede elettorali delle ultime politiche (assente Alberto da Giussano). E da parecchi mesi si parlava di un congresso per completare la transizione della Lega da nordista a nazionale.
Ma nel partito non sono affatto certi del fatto che la stessa parola Lega non rischi di finire fuori gioco: «Siamo sicuri che per lorsignori sarà abbastanza discontinuo un partito con Lega nel nome e lo stesso segretario che ha percepito l’ultima rata dei finanziamenti contestati?» si chiede un deputato.
Insomma, il nuovo partito dovrebbe nascere da zero: «Tutto dovrebbe partire da capo. Tessere, militanza, congressi. Ci vorrebbe un congresso costituente di autoconvocati, chi lo sa… È una cosa senza precedenti». Una brutta notizia per i 183 parlamentari: l’onere dell’avvio della Lega reloaded graverebbe quasi esclusivamente sulle loro spalle.
«Quello che fa uscire matti — sbuffa un esponente del governo — è che le cifre contestate sono alcune centinaia di migliaia di euro. Mentre la procura chiede di bloccare tutto il finanziamento percepito in quegli anni. È come se per una multa da cento euro, ti sequestrassero la casa». Non solo: «A Salvini è toccato l’ingratissimo compito di licenziare tutti i dipendenti del partito, di chiudere la Padania… E adesso rischiamo di sentirci dire che anche il solo nome Lega è da mettere al bando?». Anche se l’esponente leghista riflette sul fatto che oggi sia «più importante il nome Salvini che il nome Lega». In ogni caso, nel partito si inveisce contro il «fumus persecutionis» e si ragiona di ricorsi presso la Corte di giustizia europea.
Ma in Lega si parla anche di «sequestro di democrazia». Nell’incontro dello scorso luglio tra il capo dello Stato Sergio Mattarella (presidente anche del Consiglio superiore della magistratura) e Matteo Salvini, ufficialmente non si è affrontata la questione. Eppure, i leghisti si dicono convinti che «il presidente è sensibile a un tema come questo. Qui si rischia l’inagibilità politica per via giudiziaria di uno dei partiti più importanti del paese». Detto tutto ciò, Salvini dovrà decidere che taglio dare a quel nuovo partito che quasi tutti danno ormai «per scontato». Un nuovo tesseramento, nuovi organi dirigenti, regole diverse da quelle rigide del passato in teoria potrebbero sbloccare l’accesso al partito ai molti che da tempo attendono di cambiare casacca. Il che non è affatto ciò che al leader leghista interessa. Da sempre allergico alle questioni riguardanti il ceto politico, non si stanca di ripetere che «contano gli elettori, non gli eletti».