Caro direttore, la mia vicenda giudiziaria è strettamente legata all’attività di Ministro dell’Interno e alla ferma volontà di mantenere gli impegni della campagna elettorale. Avevo detto che avrei contrastato l’immigrazione clandestina e difeso i confini nazionali. Faccio parlare i numeri. Nel 2018 ci sono stati meno morti, 23.370 sbarchi contro i 119.369 dell’anno precedente. Il trend è confermato anche dalle prime settimane del 2019. Dall’inizio dell’anno a ieri si sono registrati 155 arrivi sulle nostre coste. Nello stesso periodo di un anno fa gli sbarchi furono 3.176. Non solo. Per la prima volta dopo anni, i rimpatri (306) sono superiori agli arrivi. E ancora. Nel 2018 gli immigrati in accoglienza erano 183 mila, oggi scesi a 133 mila. Calano gli immigrati, aumentano i risparmi. Risultato: abbiamo liberato risorse significative, subito investite per un piano di assunzioni straordinario per circa 8 mila donne e uomini delle forze dell’ordine.
Detto questo, vorrei parlare della vicenda giudiziaria perché ritengo importante non siano date versioni distorte. Non intendo sottrarmi al giudizio. Il Tribunale dei ministri di Catania mi accusa di «sequestro di persona» perché avrei bloccato la procedura di sbarco degli immigrati dalla nave Diciotti. Attenzione: non si tratta di un potenziale reato commesso da privato cittadino o da leader di partito. I giudici mi accusano di aver violato la legge imponendo lo stop allo sbarco, in virtù del mio ruolo di ministro dell’Interno. In altre parole, è una decisione che non sarebbe stata possibile se non avessi rivestito il ruolo di responsabile del Viminale.
Per questa ragione sono impropri paragoni con altre vicende e trova applicazione la speciale procedura di cui all’art. 96 della Costituzione. Voglio anche sottolineare che, ai sensi dell’articolo 9, comma terzo, della legge costituzionale n. 1/1989, il Senato nega l’autorizzazione «ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo».
La valutazione del Senato è pertanto vincolata all’accertamento di due requisiti (ciascuno dei quali di per sé sufficiente a negare l’autorizzazione): la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o il perseguimento di un preminente interesse pubblico. Il Senato non è chiamato a giudicare se esista il cosiddetto fumus persecutionis nei miei confronti dal momento che in questa decisione non vi è nulla di personale. La Giunta prima, e l’Aula poi, sono chiamati a giudicare le azioni di un ministro. Altrettanto chiaro è che il Senato non si sostituisce all’autorità giudiziaria, bensì è chiamato esclusivamente a verificare la sussistenza di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o di un preminente interesse pubblico.
Dopo aver riflettuto a lungo su tutta la vicenda, ritengo che l’autorizzazione a procedere debba essere negata. E in questo non c’entra la mia persona. Innanzitutto il contrasto all’immigrazione clandestina corrisponde a un preminente interesse pubblico, posto a fondamento di precise disposizioni (si veda in particolare l’articolo 10-bis d.lgs. n. 286/1998, che punisce il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato) e riconosciuto dal diritto dell’Unione europea. Basti pensare che l’articolo 79 paragrafo primo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea afferma: «L’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani».
In secondo luogo, ma non per questo meno importante, ci sono precise considerazioni politiche. Il governo italiano, quindi non Matteo Salvini personalmente, ha agito al fine di verificare la possibilità di un’equa ripartizione tra i Paesi dell’Ue degli immigrati a bordo della nave Diciotti. Questo obiettivo emerge con chiarezza dalle conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno del 2018 (precedente ai fatti a me contestati), in cui si legge che «per smantellare definitivamente il modello di attività dei trafficanti e impedire in tal modo la tragica perdita di vite umane, è necessario eliminare ogni incentivo a intraprendere viaggi pericolosi. Occorre a tal fine un nuovo approccio allo sbarco di chi viene salvato in operazioni di ricerca e soccorso, basato su azioni condivise o complementari tra gli Stati membri». E ancora: «Nel territorio dell’Ue coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria». In conclusione, non rinnego nulla e non fuggo dalle mie responsabilità di ministro. Sono convinto di aver agito sempre nell’interesse superiore del Paese e nel pieno rispetto del mio mandato. Rifarei tutto. E non mollo.