Lui dice che non vorrebbe andare, che preferirebbe restare a Roma, a Palazzo Chigi. Ma Matteo Salvini insiste e a Giancarlo Giorgetti continua a ripetere: «Voglio che vada tu a Bruxelles. Ci servi là». Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio resta il candidato più quotato come commissario europeo indicato dal governo italiano. Ma ha dato mandato di non accendere troppo gli entusiasmi e dalla Lega si limitano a far sapere che non ha ancora sciolto la riserva. La sua riluttanza, però, sta facendo molto parlare la pancia leghista in parlamento. Intercettato alla Camera, il capogruppo del partito in commissione Politiche Ue Alessandro Giglio Vigna sentenziava qualche giorno fa: «Se la Lega decide che deve andare, alla fine andrà». Così, pare, funzioni in casa Salvini.
Il capo del Carroccio ha il suo bel daffare in questi giorni con nomine e spostamenti. In settimana spera di poter chiudere la pratica del ministero degli Affari europei, lasciato vacante da Paolo Savona, nel frattempo passato alla Consob. Salvo sorprese, ci andrà Lorenzo Fontana, attuale ministro alla Famiglia, grande conoscitore di Bruxelles, dove per anni è stato europarlamentare. È sempre stato lui, il prescelto. Il nome di Alberto Bagnai, che effettivamente Salvini ha fatto durante la riunione di mercoledì con il premier Giuseppe Conte e il vicepremier grillino Luigi Di Maio, sarebbe nato come un diversivo. Una provocazione, la definiscono diversi leghisti, partorita dall’arrabbiatura per l’elezione di David Sassoli alla presidenza del Parlamento europeo e, soprattutto, dall’accordo che ha portato alla vicepresidenza il grillino Fabio Massimo Castaldo, parlamentare senza nemmeno un gruppo, visto che il M5S è rimasto tra i non iscritti. Questa scelta, sostenuta dai voti di popolari e socialisti, ha scatenato il sospetto di Salvini che sia in atto una macchinazione anti-leghista e anti-sovranista in Europa. E che, alla fine, per uscire dalla loro stessa irrilevanza, i 5 Stelle siano pronti a fare asse con il Ppe e il Pse. In questo senso il capo del Carroccio non si fida completamente di Conte e delle sue intenzioni dichiarate. Il presidente del Consiglio ha chiaramente fatto capire che Bruxelles ha dato disponibilità per concedere all’Italia il commissario alla Concorrenza, ma in cambio vuole un nome – spiega – di «alto profilo». Tradotto: difficile che per una casella così delicata accetterà un leghista, anche se fosse Giorgetti, che dalla sua ha la fama di essere l’uomo dei conti, garante del sistema produttivo del Nord e con un buon rapporto che lo lega al presidente uscente della Bce Mario Draghi.
L’Italia, insomma, si troverebbe di fronte a un bivio. Deve scegliere: tra l’avere il commissario – di peso – alla Concorrenza e avere un commissario leghista. Salvini pretende un incarico economico e sembra aver preso la sua decisione: «Non mando a Bruxelles un nemico del mio Paese. L’era dei tecnici mi sembra ampiamente superata». Non fa nomi ma è chiaro a tutti a chi fa riferimento. Con i suoi uomini: «Se Conte pensa di rifilarmi un altro Mario Monti si sbaglia di grosso». Monti non è citato a caso, perché il professore della Bocconi fu proprio commissario alla Concorrenza dal 1999 al 2004. Salvini teme che sia a un profilo del genere che sta puntando il capo del governo.
Sul fronte delle trattativa è stato l’attivismo del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi a portare a un pre-accordo con i negoziatori europei. E in fondo, senza che nessuno nel governo lo smentisca, Moavero continua a sperare di essere lui ad andare a Bruxelles. Un’ambizione che Salvini ha già stanato e bollato come «un’autocandidatura». Il leghista è pronto a mettere il veto e pur di piazzare uno dei suoi, sarebbe disposto a mandare a rotoli i piani di Conte e accontentarsi di un commissario meno influente, ma sempre con portafoglio economico. L’idea del ministro Gianmarco Centinaio all’Agricoltura era suggestiva ma sembra ormai tramontata. Resterebbero buone chance per Industria, mercato Interno e Bilancio. Tre posti tagliati su misura proprio per Giorgetti. —