Di nuovo a Mosca, certo, perché io in Russia mi sento a casa. Al sicuro. Molto più che in altri paesi europei, se dobbiamo dirla tutta». Quando alle 10,30 entra in aereo, volo di linea Az 549 per la capitale della Federazione, scatta l’applauso in cabina passeggeri.
«Questa ci scommetto che non la scriverete», dice compiaciuto Matteo Salvini rivolto al giornalista mentre prende posto in settima fila, polo blu con stellette (stavolta della Marina militare) sotto la giacca. Nella sala convegni dell’hotel Lotte lo attenderanno in 500 tra impenditori locali e italiani.
“Ospite d’onore” – si legge nella brochure – dell’assemblea generale di Confidustria: lui non li deluderà, parlando da paladino occidentale della causa anti sanzioni, anticipando il premier Conte atteso qui tra sette giorni, parlando lui stesso quasi da premier. Appena seduto in aereo lo chiama al telefono il ministro degli Esteri Moavero Milanesi, gli chiede di sentire il nuovo ministro dell’Interno francese che vuole porgergli le scuse per i blitz della Gendarmeria al confine per rilasciare immigrati.«Non ho tempo, sto decollando per Mosca, vediamo dopo…», taglia corto il vice premier. La mano destra bloccata dal tutore, nella sinistra l’ultimo libro del giornalista di Repubblica Piero Colaprico (Il fantasma del ponte di ferro), al convegno russo attaccherà a testa basta i commissari Oettinger e Moscovici che bocciano già la manovra. Ma è nella chiacchierata in volo che il capo leghista per la prima volta ammette che sta valutando la proposta avanzatagli dagli altri sovranisti: essere il candidato presidente della Commissione Ue, lo Spitzenkandidat dell’Internazionale populista alle europee di maggio.
Bruxelles stronca ormai formalmente la vostra “manovra del cambiamento”.
Per Juncker una “deviazione inaccettabile” dalle regole europee. Lei resta così tranquillo anche davanti al rischio di procedura di infrazione?
«Ancora Juncker? Barcollo ma non mollo? Ma basta, a lui non rispondo più nemmeno. Lo ha sentito l’applauso poco fa? È la migliore risposta ai burocrati di Bruxelles. E poi Oettinger, Moscovici, questi signori parlano negli ultimi giorni dal bunker assediato, sanno che tra sei mesi andranno a casa, quando anche sull’Europa soffierà il vento del cambiamento. In Italia per poco la gente non scende in piazza in giubilo per i provvedimenti che abbiamo inserito in manovra».
Dice? Intanto con l’infrazione e il giudizio delle agenzie di rating arriveranno anche le sanzioni. E voi?
«La loro è una bocciatura preventiva. C’è un popolo di aspiranti pensionati dopo 38 e più anni di lavoro finora prigionieri della Fornero, di perseguitati dalle cartelle esattoriali, di piccole partite Iva, di giovani in cerca di lavoro che attendeva le misure che abbiamo adottato. Noi rispondiamo a 60 milioni di italiani, non a loro. La manovra non cambierà di una virgola. Ma non si permettano di inviare troike o commissari. La smettano, facciano lavorare il governo degli italiani. Mi appello al buon senso, come Draghi».
Ha letto del sondaggio choc: solo il 44 per cento degli italiani oggi voterebbe per restare in Europa, un dato inferiore perfino agli inglesi che la Brexit l’hanno fatta davvero.
«Choc sarà per altri, non per me. Io immagino per me e per i miei figli un futuro in Europa. Ma non in questa. E se Bruxelles bocciasse davvero la manovra, la percentuale degli euroscettici salirebbe al 70 per cento. Facciano loro».
Ormai ha messo l’elmetto. Sta pensando di guidare a maggio il “fronte della libertà”, come avete definito con Marine Le Pen la costellazione dei partiti sovranisti? Sarà il candidato populista alla presidenza della Commissione?
«È vero, amici di vari paesi europei me lo stanno chiedendo, me lo stanno proponendo. Fa piacere vedano in me un punto di riferimento per la difesa dei popoli, anche fuori dall’Italia».
E lei che farà?
«In questo periodo tra manovra, Europa, immigrati, non ho avuto tempo e modo per valutare la proposta. Maggio è ancora lontano. Vediamo, ci penso».
I suoi alleati sovranisti, i Paesi di Visegrad, i duri euroscettici, non è che la stiano aiutando più di tanto, sul terreno dell’immigrazione come sui conti. Strana alleanza.
«L’Italia finora ha fatto da sola, è vero. Ma qualcosa si muove da qualche tempo. Con gli amici polacchi e ungheresi ho avviato personalmente un dialogo. Stiamo lavorando. Anche sui vincoli contabili».
Torniamo alla manovra. In Italia i 5 stelle vostri alleati sembra abbiano gradito poco il condono fiscale. Ora addirittura Di Maio dice che il testo è stato cambiato.
«Nessun trucco. Legge di bilancio e decreto fiscale sono passati in Consiglio dei ministri all’unanimità. Nessuno ha votato contro. Anche perché quello che chiamate condono, un condono non è. Piuttosto, a me non piace questa storia della sanatoria edilizia a Ischia».
Si riferisce alla norma inserita dai 5 stelle nel decreto Genova e che sana a quanto pare anche parecchi immobili abusivi sull’isola colpita dal terremoto?
«Quella. Ho dato disposizione ai miei di opporsi a quella roba lì…».
È venuto a Mosca a ribadire il suo no alle sanzioni europee.
Chiederà al premier Conte di porre il veto italiano al rinnovo delle sanzioni quando il 13 e 14 dicembre ne discuterà il Consiglio europeo?
«Il veto è una carta jolly che non possiamo porre per tutto.
Dovremmo porlo sul piano finanziario dei prossimi sette anni, sulle politiche migratorie, su quelle finanziarie, sulle sanzioni alla Russia, appunto. Ma non possiamo, diventerebbe un’arma spuntata.
Una presa di posizione forte però la prenderemo, contro l’embargo che continuiamo a giudicare inutile e dannoso, per Mosca e per le aziende italiane che hanno già perso venti miliardi di euro».
E quale sarebbe?
«Ci opporremo al progetto di Bruxelles di prorogare di fatto sine die le sanzioni a Mosca, con una sorta di rinnovo automatico. Ecco, a questo diremo un no risoluto: lo riteniamo inaccettabile».
Siete l’unico governo di un Paese Nato filorusso e contrario alle sanzioni. Sembra che l’amministrazione di Washington non stia gradendo tanta solidarietà da parte sua e di Di Maio verso la Russia. Non la fa riflettere?
«Quel che penso sulle sanzioni è arcinoto. Ho incontrato la scorsa settimana l’ambasciatore Usa, Lew Eisenberg, al Viminale. E conto di andare a breve a Washington. Ma non cambio opinione sul tema. Lo sanno anche loro».
Concluso il convegno nella sala gremita del Lotte e dopo un centinaio di selfie (anche qui), Salvini saluta e si allontana. Serata privata a Mosca, in agenda nessun impegno pubblico.