Matteo Salvini sa già, nel momento in cui si scaglia contro Danilo Toninelli, che il sì alla Tav è questione di ore. E sarà Giuseppe Conte a mettere la parola fine a tanti anni di battaglie e alla lunga e recente soap opera che è servita ad allungare l’agonia di una protesta mentre si cercava il miglior modo di salvare la faccia a Luigi Di Maio.
La settimana decisiva per il governo, con il premier impegnato su diversi fronti, si chiuderà venerdì, giorno nel quale la Commissione Ue attende la comunicazione ufficiale dell’Italia, se intende proseguire i lavori dell’Alta velocità Torino-Lione, o accettare placidamente di perdere i finanziamenti che l’Europa ha promesso per realizzare l’opera in condivisione con la Francia. Da una verifica effettuata con le diverse fonti coinvolte – Lega, M5s e governo – Conte dovrebbe dare l’ok tanto atteso. Una decisione che ha anche un significato politico, tutto interno agli equilibri di maggioranza. Perché va a compensare la delusione leghista per la soluzione offerta dal premier sull’autonomia differenziata che non soddisfa i governatori di Lombardia e Veneto. E ridimensiona l’accusa di lavorare solo a favore del M5S.
Non ha molte scelte Conte. L’unica alternativa al Sì alla Tav, è un ulteriore rinvio che produrrebbe scossoni a Bruxelles e con i francesi. Perché il capo del governo si troverebbe nella complicata posizione di dover spiegare il perché, visto che l’Europa ha accettato la sua richiesta di aumentare la quota di finanziamento comunitaria al 55%, sgravando l’Italia da maggiori spese. Ieri ha rifinito il discorso che farà in Senato dove mercoledì è atteso sul caso Moscopoli, oggi parteciperà ai due vertici sull’autonomia, giovedì incontrerà i sindacati, dopo il tavolo di Salvini al Viminale. Nel frattempo studia gli ultimi documenti prima del via libera alla Torino Lione. Sarà un brutto risveglio per il M5S, ormai sempre più distante dai No Tav piemontesi. Ed è proprio in vista di questo ormai indifferibile trauma che il ministro Danilo Toninelli sta esacerbando la sua contrarietà alla linea ferroviaria, al punto da licenziare dal ministero l’unico esperto, della commissione incaricata dell’analisi costi-benefici, favorevole alla Tav. Ma mentre viene esaltato dai puristi del M5S diventa bersaglio di Salvini: «Ci sono troppe infrastrutture bloccate dal ministero dei Trasporti; non è una questione di rimpasto, se uno fa il ministro ai blocchi stradali, noi siamo al governo per sbloccare le strade». «Se io sono il ministro dei blocchi stradali, Salvini è il ministro che non blocca le Ong» è la replica di Toninelli dalla Sicilia. Un conflitto ormai quotidiano che mette in difficoltà Di Maio, costretto a difendere il suo ministro che pure parte del M5S al governo vorrebbe mandar via. La parola rimpasto è sulla bocca di tutti. Salvini lo vuole fuori dalla squadra ma pretende che sia Di Maio a cacciarlo. Il grillino invece vorrebbe fosse il leghista a chiederlo. Toninelli era già a un passo dall’addio a marzo, si viene a sapere ora. Raccontano che era tutto pronto: al suo posto sarebbe andato Stefano Patuanelli. Ma poi, gli strateghi del M5s e lo stesso Conte decisero di fermare la cosa.
Ora Di Maio sembra quasi pentito anche perché le critiche al ministro arrivano da tutte le parti. Da Salvini, infuriato perché c’è l’ok dell’analisi costi benefici sull’Alta velocità Brescia-Padova ma al Mit tutto è fermo e i militanti leghisti scalpitano. Ma anche da un volto storico del M5S come Max Bugani, braccio destro di Di Maio a Chigi e capogruppo a Bologna. Il ministero ha dato l’ok al passante emiliano contro il quale lui si è speso per anni. Un affronto di cui, per il grillino, devono rispondere Toninelli e il sottosegretario Michele Dell’Orco: « Si potrà ancora fermare tutto, e, chissà, cambiare un ministro e un sottosegretario, che sembra abbiano perso di vista in questo momento gli obiettivi per cui eravamo lì».