Le due Bologna, anzi tre. La prima, la meno numerosa, viene dispersa a colpi di idranti dalle forze dell’ordine. Sono i manifestanti di alcune sigle antagoniste che protestano, poco lontano dal PalaDozza, contro Matteo Salvini che ha riempito il palazzetto con la Bologna numero due. E poi, la più numerosa di tutte, la Bologna delle «6 mila sardine» (alla fine sono circa 15 mila). Altra manifestazione anti leghista, senza bandiere, lanciata da quattro ragazzi sui social, ma all’insegna dell’ironia: i partecipanti portavano pesciolini disegnati, ritagliati nel cartone, sulle magliette o anche in scatola. Stretti sul Crescentone di piazza Maggiore proprio per affermare plasticamente di essere più numerosi dei leghisti. Tra loro, anche Giambattista Borgonzoni, padre di Lucia, la candidata presidente leghista: «Se dovesse vincere mia figlia le farò i complimenti: vincitrice sul cavallo sbagliato». Della piazza strapiena ha postato una foto il segretario dem Nicola Zingaretti: «Una piazza bellissima».
Le tre città rappresentano bene il paradosso. Moltissimi dei presenti al palazzetto dicono di aver sempre votato a sinistra, alcuni anche 5 Stelle, molti persino riconoscono al governatore Stefano Bonaccini di essere «un buon amministratore» e pure un «presidente capace». Ma la spinta al cambiamento, e la valenza nazionale delle elezioni del 26 gennaio, sono una propulsore formidabile. È quello che Salvini chiama «effetto Umbria», il «riuscire a dare voce a un’alternativa». Salvini non fa finta che non sia così, per lui la sfida emiliano-romagnola resta il «preavviso di sfratto» al governo. Senza negare anche il valore simbolico della tradizione emiliana: «Una parte del mondo cooperativo sta già dialogando con noi». Anche se Giancarlo Giorgetti è più che prudente: per lui non è affatto detto che la caduta della Regione simbolo delle amministrazioni di sinistra porti a una caduta del governo: perché «ci sono due Italie, quella dentro ai palazzi e quella fuori». E dunque, il vice di Salvini nemmeno è convinto che la possibile sconfitta in Emilia porti alle dimissioni, come fu per D’Alema, il segretario dem Nicola Zingaretti: «Voi ragionate con la testa di ieri. Un tempo le regole non scritte dicevano che chi perdeva le elezioni si fermava. Ora non è più così, quelli che sono dentro pensano esclusivamente al loro destino personale». E dunque, «noi siamo qui perché vogliamo vincere qui. Bologna è sempre stata difficile per Cantù e Varese», un’ironia che richiama il basket.
In realtà, al PalaDozza l’atmosfera è euforica. Alessandro «The Voice» Morelli, voce degli eventi leghisti, si sgola per sottolineare «la serata dell’odio qui fuori e quella del sorriso qui dentro». Il Pd irride la candidata Borgonzoni: sarebbe completamente coperta dal punto di vista della comunicazione da Salvini. Tutt’altro che un fatto inedito: in tutte le Regionali dell’ultimo anno e mezzo, il leader leghista ha monopolizzato la campagna elettorale, limitando anche le iniziative comuni con i candidati del centrodestra. Ma Borgonzoni non fa una piega: «Io non mi vergogno di Salvini, a differenza di chi vuole nascondere Zingaretti, Renzi e il suo partito». Quanto a Stefano Bonaccini, serafico, si limita a dare il «benvenuto» ai lombardi che sarebbero stati cammellati a Bologna per dare un aiutino a riempire il PalaDozza. Mentre un bolognese è certamente a Milano: Francesco Guccini, nel capoluogo lombardo per la presentazione della sua raccolta Note di viaggio, si augura che le elezioni «vadano come tradizionalmente vanno in Emilia-Romagna».