La tregua commerciale siglata il 19 maggio a Washington tra Stati Uniti e Cina è già finita. A farla saltare, neanche a dirlo, è l’ennesima oscillazione dell’amministrazione Trump. Ieri, la Casa Bianca ha avviato un nuovo conto alla rovescia: tra 16 giorni, vale a dire il 15 giugno, sarà pubblicata la lista definitiva dei prodotti cinesi che verranno colpiti da dazi del 25%. I balzelli saranno applicati «poco dopo» su 50 miliardi di dollari di merci. Non solo. Entro il 30 giugno verranno annunciate misure per limitare gli investimenti cinesi negli Stati Uniti e per mettere sotto controllo l’export di tecnologia in Cina. Gli Usa, inoltre, porteranno avanti l’offensiva già aperta nella Wto contro Pechino.
Il ritorno alla retorica delle minacce potrebbe anche essere un espediente per preparare il terreno al viaggio del ministro al Commercio, Wilbur Ross, in Cina, tra il 2 e il 4 giugno. La mossa sarebbe perfettamente in linea con la tattica negoziale usata dall’Amministrazione Trump. «Gli Stati Uniti – si legge nella nota della Casa Bianca – continueranno a impegnarsi per proteggere tecnologie e proprietà intellettuale domestica, per fermarne il trasferimento anti-economico in Cina e per aprire il mercato cinese». E ancora: «Gli Stati Uniti chiedono alla Cina di rimuovere tutte le sue molteplici barriere commerciali, anche quelle non tariffarie, che rendono difficile e non equo fare affari lì».
Al tempo stesso, la sferzata potrebbero essere una leva per spingere Pechino a fare pressioni sulla Corea del Nord e salvare il vertice tra Trump e Kim il 12 giugno.
Il presidente Usa aveva minacciato dazi su 50 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina a marzo, come ritorsione per «lo scippo di tecnologie e proprietà intellettuale» americani. Di fronte alla contro-mossa di Pechino, pronta a imporre a sua volta dazi su un pari ammontare di importazioni dagli Usa, Trump aveva alzato ancor di più la posta, mettendo nel mirino altri 100 miliardi di prodotti cinesi, per un totale di 150 miliardi, su 506 miliardi di esportazioni complessive negli Usa (dato 2017).
La via indicata da Washington a Pechino, per evitare lo scontro, era quella di ridurre di 200 miliardi di dollari il proprio surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti entro il 2019. La Cina si è rifiutata di impegnarsi su una somma pari al 60% dell’intero avanzo (337 miliardi, che salgono a 375 se si escludono i servizi), ma ha accettato di aumentare le importazioni dagli Stati Uniti, in particolare su agroalimentare e carbone. Allo stesso tempo, Pechino ha congelato una serie di ritorsioni avviate contro le importazioni dagli Usa e ha annunciato il taglio dei dazi sull’import di auto dal 25 al 15%, a partire dal 1° luglio.
Iniziative giudicate non sufficienti dall’amministrazione Trump.
In bilico torna anche il destino del colosso delle telecomunicazioni cinese Zte. Colpita dal divieto di operare con società Usa per sette anni per aver violato le sanzioni Usa contro Iran e Corea del Nord, Zte è stata costretta a sospendere le attività e rischia di chiudere. La tregua del 19 maggio prevedeva un alleggerimento di questo “embargo”: Trump si era esposto in prima persona, ma poi aveva fatto marcia indietro, bersagliato dalle critiche dei Repubblicani del Congresso, che sulla Cina si muovono su posizioni addirittura più estreme di quelle del presidente.
Laconica la riposta di Pechino, che si è limitata a esprimere sorpresa e a ribadire la propria capacità di salvaguardare i propri interessi.