A quasi due settimane dal via libera in Consiglio dei ministri, il decreto «dignità» si avvicina al traguardo. Dopo la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato, ieri sera è arrivata anche la firma del Capo dello Stato e adesso manca solo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Nell’ultima versione del provvedimento ci sono alcune novità. La più importante riguarda i contratti stagionali: a differenza di quanto previsto per i normali contratti a termine, non sarà necessario indicare la causale, cioè il motivo per cui non si usa un contratto a tempo indeterminato. Non cambierà nulla rispetto alle regole in vigore oggi ma è anche un segnale di come la Lega, in Parlamento, potrebbe cercare di togliere l’obbligo della causale per tutti i contratti a termine, appoggiando le richieste degli imprenditori che la considerano una complicazione che porterà a un aumento dei ricorsi.
Dalla relazione tecnica che accompagna il decreto viene fuori che la stretta sui contratti a termine — in particolare con il taglio della durata massima da tre a due anni — potrebbe far perdere 80 mila contratti a termine l’anno: tanti sono i rapporti di lavoro inferiori ai 24 mesi, il 4% del totale. Anche per questo, in Parlamento, potrebbe essere introdotto un incentivo per le aziende che trasformano i contratti a termine in contratti stabili. Una mossa che però avrebbe un costo per lo Stato, da aggiungere ai 220 milioni già messi in conto.
Ma cosa ha ritardato ancora l’iter del decreto? In realtà ci sarebbe ancora qualche problema sui giochi. Il divieto di pubblicità per le aziende del settore scatterà quando il testo sarà pubblicato, salvando i contratti già firmati. Impossibile renderlo retroattivo, e cioè farlo partire dal giorno dell’approvazione in consiglio dei ministri, come pure qualcuno aveva ipotizzato. Il punto è che in questi giorni c’è stata una corsa alla firma di contratti pubblicitari, che sfuggirebbero al bando. Per arginare il fenomeno, il decreto prevede che dopo un anno il divieto scatti pure per loro. Una norma di dubbia costituzionalità, esaminata ieri con attenzione, e che potrebbe cambiare in Parlamento. Sul tema dei giochi è intervenuto anche Urbano Cairo, presidente e amministratore delegato di Rcs Mediagroup: «Avrei fatto il contrario. Meglio avere un gioco regolato e mettere anche regole in più che stoppare la pubblicità». Intanto si profila un nuovo rinvio sulle nomine di Cassa depositi e prestiti. All’assembla di oggi il Tesoro potrebbe non presentare la sua lista.