Doveva essere approvato l’11 dicembre prossimo, ma dopo l’annuncio della nuova presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen che, invece dei 35 iniziali, punta a mobilitare 100 miliardi di euro per finanziare la transizione verso un’economia più sostenibile e con meno emissioni nocive, l’approvazione del Just transition fund da parte del collegio dei commissari è slittata di un mese, l’8 gennaio, la prima riunione del 2020. Mercoledì 11 dicembre arriverà solo il piano.
Non è però solo una questione di risorse. Il confronto sul fondo europeo per la “transizione giusta”, fulcro del Green deal Ue, è in fase avanzata ma sono diversi i nodi da sciogliere: le risorse, i criteri di eleggibilità dei territori beneficiari; la distribuzione dei fondi; se finanziare o no anche le grandi imprese o solo le Pmi; le eventuali condizionalità.
Le risorse
Secondo un documento circolato a Bruxelles nei giorni scorsi, prima dei 100 miliardi annunciati da von der Leyen nella conferenza stampa di esordio, lo schema del fondo per la decarbonizzazione prevedeva 10 miliardi di finanziamenti dal budget europeo, di cui 5 dedicati e altrettanti prelevati dai fondi strutturali (Fesr e Fse); altri 5 miliardi venivano coperti dal cofinanziamento degli Stati membri. L’altro pilastro su cui poggia il fondo è quello delle garanzie assicurate dalla Bei: 1,5 miliardi con un moltiplicatore degli investimenti di 13,7 per mobilitare oltre 20 miliardi di euro, da aggiungere agli altri 15. Ora si discute come arrivare ai 100 indicati dalla presidente e la risposta, probabilmente, è nella proposta di bilancio pluriennale presentata dalla presidenza finlandese che taglia di altri 7 miliardi le risorse alla Coesione. Il timore è che questo gruzzolo (insieme ad altre risorse come quelle sottratte al capitolo Difesa comune) possa servire proprio per rimpolpare il fondo di transizione verso una economia verde, puntanto sia sui sussidi (da 15 salirebbero a più di 22 miliardi) che sulle garanzie e sul relativo effetto leva, secondo lo schema del Piano Juncker (InvestEU).
Criteri di eleggibilità
I criteri di elegibilità (a chi spettano gli aiuti) proposti dalla Dg Regio per ora sono tre, ma devono ancora ottenere il via libera del collegio dei commissari: il numero degli occupati nelle miniere di carbone e di lignite a livello nazionale; la carbon intensity regionale superiore ad una soglia da definire rispetto alla media Ue; la produzione nazionale di torba in eccesso di una percentuale da definire rispetto alla media Ue. Le simulazioni basate sulla carbon intensity indicano che gli aiuti andrebbero a 50 regioni in 18 Stati membri (si guardi la mappa accanto). In Italia dovrebbero beneficiare degli aiuti europei quattro regioni, tra cui quasi sicuramente la Puglia (su cui pesa la presenza della ex-Ilva) e la Sardegna. L’idea però è quella di lasciare agli Stati membri la decisione su quali regioni sostenere, per ridurre conflittualità con il Consiglio. Karl-Heinz Lambertz, presidente del Comitato delle Regioni, alla plenaria del 4 e 5 dicembre ha chiesto al presidente del Parlamento, David Sassoli, e al vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, responsabile per il Green deal, che il fondo per la transizione «non sia finanziato con i tagli alla Coesione». Linea su cui Sassoli ha concordato: «Tagli drastici alla Coesione creerebbero un’Europa squilibrata».
Grandi imprese, aiuti di Stato e condizionalità
Aperta resta la questione degli aiuti alle grandi imprese, anche se circoscrivere il sostegno alle aziende più piccole potrebbe limitare di molto il risultato, così come è sul tavolo la questione aiuti di Stato: potrebbero essere ammorbidite le regole sul sostegno pubblico alle imprese, evoluzione che per alcuni Paesi potrebbe essere molto più gradita di qualche decina di milioni. Infine la condizionalità: chi non raggiunge gli obiettivi di decarbonizzazione potrebbe vedersi negare i contributi europei.