Il fuoco amico che segna la convivenza gialloverde nel governo, si sposta sul fronte del lavoro. Con la Lega che stronca il salario minimo, misura “bandiera” del M5S. La premessa è che in Italia, diversamente da altri Paesi, non esiste un salario minimo legale: sono i contratti collettivi nazionali, firmati da sindacati e imprese, a prevedere un minimo tabellare. Il testo del M5S propone l’introduzione di un salario minimo legale di 9 euro lordi all’ora, che rappresenta la soglia sotto la quale non possono scendere i contratti collettivi. La proposta del Pd prevede solo un salario minimo “residuale”, cioè per i lavoratori senza contratto, mentre per tutti gli altri resta il primato dei contratti collettivi.
Considerando il salario orario mensile (al netto dunque di ferie, tredicesima e quattordicesima) i minimi di tutti i contratti delle principali categorie (eccetto i bancari e pochi altri) sono sotto la soglia dei 9 euro. Secondo i calcoli della Fondazione Di Vittorio, ad esempio, gli operai chimici percepiscono un minimo di 8,8 euro, i metalmeccanici di 7,58 e gli addetti dei supermarket di 7,64. Aggiungendo il salario differenziato (non il Tfr incassato all’uscita dall’azienda), invece la maggioranza delle paghe orarie supera la soglia: si va dai 12,47 euro per gli addetti dell’alimentare ai 9,88 per i metalmeccanici. Rimane sotto i 9 euro il 22% dei dipendenti, ovvero circa 3 milioni di lavoratori. Oltre naturalmente a chi sfugge ai radar, perché in nero o con contratto “pirata”
È su questi 3 milioni di lavoratori che, dunque, andrebbe calcolato l’effetto del salario minimo. Secondo l’Istat, senza un trasferimento sui prezzi l’aggravio per le imprese sarebbe di 4,3 miliardi di euro, mentre lo Stato dovrebbe sborsare 698 milioni in più di stipendi. Per l’ente pubblico di ricerca Inapp (ex Isfol) si sale a 6,7 miliardi, mentre l’Ordine dei consulenti del lavoro, che aggiunge anche i lavoratori domestici e dell’agricoltura (ma non gli statali), stima un + 20% a 5,5 miliardi. Nei Paesi Ocse dove è presente, il salario minimo varia tra il 40 e il 60% del salario mediano, il che significherebbe in Italia tra i 5 e i 7 euro, mentre i 9 euro corrispondono all’80%. Qualche esempio: in Francia 10 euro (ma con il regime delle 35 ore settimanali), in Spagna 5,7 euro, in Gran Bretagna 7,6 euro. In tutti gli altri Paesi europei che hanno la paga oraria legale, si oscilla tra 4 e 6 euro. Fuori dalla Ue si va dai 9 dollari degli Usa ai 15 dell’Australia.
Un salario minimo troppo elevato, secondo alcuni indebolirebbe la contrattazione collettiva, senza intaccare il flusso del lavoro nero. La contrattazione, peraltro, si occupa anche di diritti sindacali, orari, inquadramenti, formazione. Paradossalmente, analogo effetto potrebbe avere un salario minimo troppo basso, spingendo le imprese a uscire dai contratti collettivi.
Altra questione sul tavolo è quella della differenza del potere d’acquisto nelle varie zone del Paese: un salario minimo ragionevole in Lombardia, per dire, sarebbe fuori mercato nel Sud, mentre un livello accettabile nel Meridione sarebbe irrisorio nel Settentrione. Da qui l’opzione di prevedere differenziazioni territoriali nell’eventuale salario minimo legale. Contro il salario minimo legale i sindacati difendono a spada tratta il ruolo della contrattazione nazionale, così come la Confindustria. La Lega si oppone al salario minimo tout court, mentre anche l’Ocse esprime perplessità. Sullo sfondo del salario minimo, infine, l’articolo 39 della Costituzione italiana, che attribuisce ai sindacati – se registrati – la personalità giuridica e la potestà di stipulare contratti collettivi con efficacia obbligatoria per i lavoratori delle diverse categorie. Ma l’articolo non è mai stato attuato. Al Cnel sono depositati ben 868 contratti nazionali dei quali solo un terzo sono stati siglati dai sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil): al netto di altri accordi firmati da sindacati autonomi “corretti”, sono dunque centinaia i contratti “pirata” che ledono, prima ancora che il salario dei lavoratori, i loro diritti e la loro dignità.
Ecco chi coinvolge e come funziona negli altri Paesi la proposta “bandiera” del M5S. Imprese, sindacati e Lega contro il rischio di introdurre nuove “gabbie salariali”