«Possiamo offrire a tutti un bel caffè?». Sono le dieci e un quarto e Matteo Salvini entra nella sala che, quando il Viminale era la sede della presidenza del Consiglio, veniva usata per le sedute del governo. Non c’è posto al tavolo per i rappresentanti di tutte le 43 sigle invitate dal vicepremier per parlare della prossima legge di Bilancio. E soprattutto per spingere le proposte della Lega, senza il contrappunto degli alleati del Movimento 5 Stelle. Si va su due turni, c’è una seconda fila di sedie addossate al muro.
Di fronte a Salvini c’è il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia,stretto tra Maurizio Landini (Cgil) e Annamaria Furlan (Cisl). E il primo a parlare è proprio lui, il padrone di casa: «Siamo qui per ascoltarvi in vista della manovra. Ma non c’è nessuna concorrenza né con il presidente del Consiglio né con gli altri ministri», dice con un tono apparentemente ecumenico che non basterà a fermare le accuse di invasione di campo che pioveranno di nuovo sul Viminale. Poi lascia la parola ai suoi, a ognuno un argomento. Armando Siri, la notizia del giorno di cui nessuno degli invitati sapeva, parla di flat tax nella sua versione XL. Claudio Durigon parla di lavoro, e ci manca poco che strappi l’applauso quando ripete la sua contrarietà al salario minimo voluto dal Movimento 5 Stelle, visto che sindacati e imprese la pensano allo stesso modo. Massimo Bitonci spiega la pace fiscale, la nuova edizione del condono che potrebbe risolvere in parte il rebus delle coperture. Poi Massimo Garavaglia parla di investimenti, Alberto Bagnai di banche, Claudio Borghi di Europa.
Cominciano a parlare i 43 invitati, da destra verso sinistra. In teoria sarebbero 3 minuti a testa, sia da una parte del tavolo sia dall’altra. Ma, come spesso avviene in questi casi, non li rispetta nessuno. Il primo è Landini, più che giustificato perché deve raggiungere Bologna per il funerale di un collega e carissimo amico. Ognuno parla dei suoi temi. Ma alla fine su alcuni punti sembrano (quasi) tutti d’accordo. Del no al salario minimo abbiamo già detto e infatti il sottosegretario Durigon, che segue questa partita per la Lega, si rifugia un paio di volte in corridoio per approfondire la questione con i sindacalisti. Gli altri sono lo sblocco dei cantieri e la ripresa degli investimenti, che dovrebbero venire anche prima della flat tax.
A un tratto, però, c’è il sussulto. Su Facebook, l’altro vicepremier Luigi Di Maio ha appena attaccato i sindacati che «trattano con un indagato», cioè Siri. Da qualche minuto la sala del Consiglio è tutta un mormorio. Salvini coglie la palla al balzo: «Mi dispiace per voi — dice rivolto a Cgil, Cisl e Uil — per queste critiche. Non capisco dove sia il problema visto che nessuno in questa stanza ha una condanna definitiva. Tiremm innanz». Ma ormai nella sala del Consiglio si mormora anche per altro. In quasi sei ore di incontro non ci sarà a disposizione neanche un tramezzino. Solo un «pausa caffé, sigaretta, tweet» di cinque minuti al posto del pranzo, che consente a Salvini di scendere in sala stampa e fare una dichiarazione in tempo per i tiggì. Qualcuno tenta la fuga al baretto del piano terra, un po’ fantozziano, per strappare un panino. Ma nessuno protesta. Anche perché il caffè al posto del pranzo sembra una chiara scelta mediatica, e dunque strategica, per far vedere che «qui si lavora e basta». Poi c’è un altro momento di tensione. I sindacati ripetono la loro contrarietà alla scelta di rendere più facili i subappalti, inserita dal governo nel decreto Sblocca cantieri. Interviene Salvini ma stavolta non è conciliante: «Guardate che non c’è lavoro se non ci sono appalti». Stop.
Alla fine ci pensa la vistosa giacca gialla di Nazzareno Vita a voltare pagina. Lui è il presidente dell’Istituto tutela dei produttori italiani e detiene il record di intervento più lungo. Dice che le «tasse vanno abbassate perché gli stranieri devono venire in Italia a comprare le scarpe invece di prenderle su Amazon». Un sorriso in chiusura ci sta. Si replica all’inizio di agosto. In caso, portarsi panino.