Il grande lunapark del riciclo non va mai a dormire. Le montagne russe portano in alto pezzi di legno che conservano ancora un aspetto familiare: parti di cassette di frutta, assi di pallet e pannelli gialli per l’edilizia, gambe di vecchi mobili, ante di armadi. Nella montagna all’aperto si scorgono altre tracce di questa interminabile catena di memorie. Spunta un mestolo da cucina, un tavolo da giardino in bambù, perfino la mascotte di Italia ‘90. Oggetti abbandonati venuti da mezza Italia (e anche da Francia e Svizzera) si ritrovano accomunati da un eco-destino: ogni giorno 150 tir scaricano qui legno di recupero destinato a nuova vita.
La loro terza vita. All’inizio erano alberi. Poi sono stati trasformati in mobili e prodotti di legno di vario genere e, terminato il loro ciclo di vita, si avviano ora a risorgere con un progressivo trituramento e pulizia dalle impurità di metallo, vetro, cemento e plastica che spesso si portano dietro. Questa segatura, mescolata a colle e resine, fa un lungo percorso in una catena industriale, passa nella pressa e nel forno e quando esce, voilà!, è diventata pannello truciolare. Bello, nuovo, persino slanciato.
Le nostre case ne sono piene, dalle cucine agli armadi fino alle camerette dei ragazzi. Ancor più gli uffici e gli alberghi. Da decenni l’industria dell’arredamento utilizza pannelli sempre più sostenibili e certificati per poter essere esportati in America e Giappone, paesi dove senza le severe autorizzazioni in materia ambientale non si supera la dogana. In Italia sono soltanto cinque le aziende che li producono. Una di queste è la Saib di Caorso, gigantesco sito industriale accanto al Po che occupa lo spazio di 90 campi da calcio. All’esterno piazzali di deposito con strutture di smistamento e nastri trasportatori, all’interno lunghe linee di produzione, spazi espositivi nuovi di zecca e uffici. Clara Conti (a sinistra nella foto in basso) è uno dei tre amministratori delegati (gli altri sono Giuseppe Conti – al centro nella foto – e Sergio Doriguzzi, a destra) di questa azienda di famiglia partita con sua nonna «che sapeva vedere l’oro nelle cose che gli altri buttavano via».
Si chiamava Eva Bosi e insieme a Giorgio Rinaldi, suo marito, sono tra i pionieri del truciolato. Hanno dato linfa all’Italia del boom, delle fabbrichette che sfornavano mobili a prezzi modici, delle cucine in formica, dei pensili in laminato. Un arredamento democratico e accessibile stava entrando prepotentemente in gioco, il design italiano ci ha costruito buona parte della sua fortuna. Nel 1962, quando è nata, non si parlava di economia circolare e la produzione della Saib aveva due punti di forza: lavorare gli scarti inutilizzati dei pioppi, che in zona venivano buttati via, e copiare la tecnica produttiva dei colossi americani del mobile. «All’inizio si fabbricavano solo 30 metri quadri al giorno di pannelli», spiega Conti. «Oggi siamo arrivati a 2.000 metri cubi. Dal solo pioppo siamo progressivamente passati a trattare il legno a fine vita che ci viene portato dal consorzio che gestisce la raccolta differenziata in Italia».
Numeri impressionanti. Cinquecentomila tonnellate di materiale di scarto che arrivano qui e ripartono sotto forma di pannelli, in parte diretti anche fuori dai confini. Il valore economico prodotto va sotto il nome di Rewood, che in Saib significa riuso, riduzione, riciclo: prende la forma di pannelli grezzi e “nobilitati”, certificati per il rispetto dell’ambiente, ricoperti di una lamina di carta colorata con un aspetto tattile che imita il legno massello, la pietra e la pelle.
«Nel ‘94 abbiamo costruito nuovi impianti per convertire la produzione da legno vergine a riciclato – continua Clara Conti – e oggi abbiamo sei linee di fabbricazione, due per pannelli truciolari grezzi e quattro per “nobilitati”. Siamo un’azienda che va oltre la sostenibilità, perché rigeneriamo tutti i materiali che arrivano qui, non solo il legno». La catena del valore fa recuperare 8.500 tonnellate di ferro all’anno,16.000 di ghiaietto e inerti, 900 di alluminio. E ancora montagne di carta, plastica, vetro. La Saib oggi è una realtà che fattura 125 milioni di euro, ha raddoppiato il giro d’affari in dieci anni.
* Articolo pubblicato su Quotidiano.net