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La quarta rivoluzione industriale è alle porte e desta preoccupazioni. I timori riguardano il lavoro, che sarà oggetto di una trasformazione così profonda da ridisegnare la società. Secondo il World Economic Forum, entro il 2025 la metà dei mestieri attuali sarà svolto da robot e si perderanno 75 milioni di posizioni. Allo stesso tempo se ne creeranno altre, 133 milioni, e tuttavia gli «espulsi» non necessariamente saranno gli stessi impiegati nelle nuove mansioni.
«Sarà una rivoluzione a due facce: da un lato avremo una fase transitoria in cui molti posti potranno essere messi in discussione, dall’altro i robot favoriranno la creazione di nuove mansioni», sottolinea Maria Chiara Carrozza, professore di bioingegneria industriale alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa ed ex ministro dell’Istruzione.
In che modo trasformeranno il lavoro?
«I robot sono già entrati nel settore manifatturiero nel corso della terza rivoluzione industriale. Con la quarta rivoluzione si assiste a un ulteriore salto di qualità e i robot cominceranno a lavorare sempre più a stretto contatto con gli operai. La “robotica collaborativa” costituisce un importante paradigma».
Come sarà questo rapporto così «intimo»?
«Fianco a fianco o persino uniti. Tra gli sviluppi ci sono esoscheletri indossabili, che hanno il compito di alleggerire il lavoro degli operai in fabbrica e offrire sostegno nel caso di posizioni usuranti. Ma i robot entreranno anche nella sfera sociale e nella nostra vita di tutti i giorni: assisteranno gli anziani, ci aiuteranno nelle faccende domestiche, gestiranno la clientela e saranno usati nelle scuole».
Come ci si prepara a una trasformazione simile?
«Investendo in istruzione e formazione e sviluppando un sistema di welfare che tenga conto degli eventuali contraccolpi di queste innovazioni. Un fenomeno così complesso ha bisogno di politiche mirate e senza adeguati programmi di istruzione e welfare rischiamo di non avere le competenze e gli strumenti adatti ad affrontare il cambiamento».
Che cosa manca oggi sul piano dell’istruzione?
«Dovremmo riformare i programmi di studio a partire dalle scuole primarie. Quando ero ministro ho scritto scritto e firmato una proposta di legge che riguarda l’insegnamento dell’informatica alle scuole elementari, perché ritengo importante fornire fin da bambini gli strumenti per comprendere e sfruttare questa rivoluzione tecnologica. Inoltre servono programmi di formazione permanente per i lavoratori, che avranno sempre più bisogno di tenere il passo dell’innovazione».
La sicurezza sul lavoro migliorerà grazie ai robot?
«Nella robotica collaborativa i robot sono così sicuri e flessibili da poter condividere la stessa postazione di lavoro con gli operai. Inoltre potranno sostituirci nel caso di lavori pericolosi. Tuttavia è necessario che siano ben protetti dagli attacchi hacker che potrebbero minare la nostra sicurezza. La cybersecurity è una sfida importante».
Che cosa la spaventa di questa trasformazione?
«Sul fronte sociale mi spaventa l’assenza di politiche e l’ignoranza nell’affrontare un cambiamento così radicale. Sul fronte tecnologico temo la possibilità che le nuove tecnologie possano essere utilizzate a fin di male, per esempio per mettere a punto armi sempre più intelligenti o per seminare terrore».
*TuttoScienze – La Stampa, 26 settembre 2018