«L’operazione di trasferimento dei crediti deteriorati dalle banche venete a Sgaè una delle più rilevanti operazioni di cessione di Npl nel panorama italiano» precisa il presidente Alessandro Rivera. Lo chiamano il «maratoneta del Tesoro»: è l’uomo dei negoziati con Bruxelles, uno dei più importanti esperti di finanza del Mef, il braccio destro del ministro Padoan e, prima, di Visco, Tremonti (è stato Rivera il capofila del team dei Tremonti bond), Siniscalco, Monti, Saccomanni… Rivera è il grande manager che il governo, a luglio 2017, ha voluto presidente della Sga, la bad bank che deve gestire i deteriorati delle ex banche venete.
Qual è il business plan?«Abbiamo cominciato a riorganizzare profondamente Sga fin da luglio 2017, il cambiamento è iniziato dalla governance con la nomina di un nuovo cda e di un nuovo ad nella persona di Marina Natale che ha avuto le deleghe per ridefinire il modello di business. Un lavoro impegnativo che ci ha portato a una nuova struttura organizzativa e territoriale e a ridefinire l’organico con un programma di incremento del personale».
Significa assunzioni?«Abbiamo mantenuto la sede legale a Napoli con le 70 persone ancora operative sulla gestione dei crediti rimanenti del Banco di Napoli. Ora c’è da avviare un lavoro su un portafoglio molto più grande, quindi abbiamo rifocalizzato anche geograficamente la società con una sede operativa e una direzione generale a Milano. Il piano di aumento dell’organico prevede 240 persone rispetto alle 70 già trovate. Circa 70 le prenderemo in distacco dalle ex banche venete in accordo con Intesa e, per assicurare un servizio migliore e logisticamente vicino ai debitori, abbiamo previsto presidi a Vicenza, Montebelluna, Verbania, Palermo e Prato».
I servicer esterni sono già stati individuati? «Il modello di business prevede che la società faccia da sé sulle posizioni di maggior valore e complesse che, però, dal punto di vista numerico sono anche quelle minori: qualche decina di migliaia. Poi c’è una parte molto parcellizzata di crediti, di valore medio più basso, che non avrebbe senso che la Sga gestisse direttamente, perché è molto meno costoso avvalersi di servizi esterni. Si tratta di circa 80 mila posizioni che verranno ripartite tra società esterne. Il nostro fine è massimizzare le possibilità di recupero».
Quanti servicer possiamo ipotizzare al fianco di Sga?«Saranno un discreto numero: forse più di 10».
Li avete già individuati?«Siamo alle battute finali».
Quale sarà l’approccio sulle inadempienze probabili o Utp? Qui non si tratta di recuperare ma ristrutturare il debito. «Il tipo di attività sugli Utp è molto diverso: non si tratta di gestire il recupero del credito ma di valutare le prospettive di ripresa dell’azienda e quindi la sua capacità di tornare pienamente in bonis. La Sga è attrezzata per fornire nuova finanza essendo un intermediario 106, quindi può fare credito. Anche sugli Utp, Sga gestirà direttamente le posizioni più grandi e si appoggerà a società specializzate per contattare le migliaia di clienti con bassa esposizione. Sarà compito di Sga fare una valutazione attenta delle prospettive dell’azienda interessata e concordare una delle diverse possibilità di ristrutturazione della posizione. Lo faremo con politiche del credito attente e a condizioni coerenti con i rischi che la società dovrà assumere».
Come farete credito?«Si è concluso un accordo con Intesa che assicurerà un servizio di front desk verso la clientela. Così facendo, ci avvalliamo della presenza territoriale di Intesa, ampliata dalla rete delle ex venete. Le decisioni di ristrutturazione saranno in ogni caso in capo alla Sga».
Nel passaggio degli Npl dai liquidatori alla Sga, sono già stati conteggiati anche i crediti in bonis ma a rischio che Intesa poteva retrocedere? «La Sga è entrata in possesso di 125 mila posizioni per un valore lordo di 19,2 miliardi, metà sono sofferenze e la parte restante sono Utp e Past due (scaduti, ndr). Questi crediti non comprendono i crediti high risk su cui Intesa ha possibilità fino al 2020 di retrocedere alle liquidazioni e, quindi, a Sga. Si tratta di una garanzia che Intesa, in base al contratto di cessione, poteva avere fino a un massimo di 4 miliardi. La due diligence conclusa ha definito l’importo della garanzia in circa 3,7 miliardi. Questi crediti erano classificati in bonis alla data della cessione a Intesa e saranno trasferiti alla Sga se e quando si verificheranno le condizioni per una loro riclassificazione a deteriorati».
Chi saranno i beneficiari dell’incasso di Sga? Venderete parte dei crediti?«Noi non venderemo gli Npl, Sga li recupererà e non li cederà a terzi. È proprio il fatto di non cedere i crediti che cambia le prospettive di incasso finanziario da parte di Sga. La cessione è più costosa perché l’acquirente del credito paga un prezzo che include il proprio profitto e quindi uno sconto significativo rispetto ai flussi di cassa stimati per il credito. Quello che Sga incasserà sarà restituito alla liquidazione che dovrà coprire tutte le sue passività secondo un ordine preciso».
Qual è l’ordine?«Ci sono in primo luogo le spese della liquidazione, si tratta di una cifra relativamente piccola. Poi c’è il debito che la liquidazione ha nei confronti di Intesa che ha acquisito attivi di valore inferiore ai passivi. Tecnicamente si è prodotto uno sbilancio di cessione di circa 6,4 miliardi per il quale Intesa ha acceso un corrispondete credito verso la liquidazione, garantito dallo Stato. Ciò che verrà recuperato oltre i 6,4 miliardi andrà a rimborsare lo Stato per quello che ha pagato a Intesa all’atto della cessione delle due banche, ovvero il contributo per il capitale e per le spese di ristrutturazione. Infine ci sono i creditori chirografari che dovranno attendere il pagamento integrale dello Stato da parte della liquidazione».