I tempi vacanzieri inducono a inseguire eventi e spettacoli di festa. Sono uno dei tanti che si è ritrovato nella calda bolla televisiva per seguire la politica che si è fatta società dello spettacolo. Segno dei tempi. A noi che lavoriamo comunicando tocca, al tempo delle incertezze e delle paure sociali diffuse, provare a delineare, non tanto soluzioni politiche, ma almeno una mappa che faciliti a orientarci e interrogarci sul come continuare a mangiare futuro. Viviamo in una società in cui incertezze e paura del futuro generano sentimenti collettivi indocili alle antiche categorie di lettura sociali e politiche. Tale abilità sociopolitica si giocava nell’accompagnare la catena di senso: “paura-speranza-fiducia-progetto e proposte per comunità inclusive”come antidoto alla catena di senso “paura-rancore-sfiducia-rinserramento comunitario esclusivo” oggi apparentemente egemone.
Occorre mettere in mezzo la parola dimenticata fiducia. Essendo la fiducia una merce leggera che più la usi più si riproduce. Ma affinché venga usata e possa riprodursi ci deve essere una condivisione di interessi in economia, un’intelligenza sociale e una impalcatura istituzionale e politica che ne favorisca la diffusione. Così è stato nel secondo dopoguerra, poi siamo entrati in una dolorosa metamorfosi in cui la merce leggera che circola con più facilità è la sfiducia. Indotta anche da un salto d’epoca geoeconomico e geopolitico che ci vede vivere in una società dai mezzi sempre più abbondanti e dai fini sempre più incerti. Questo è ben visibile sul territorio dove i soggetti minuti sono mobilitati per non perdere il ritmo, per cercare di uscire dal margine rischiando però, di sembrare il criceto che fa correre la ruota. Incertezze e paure sono ingredienti di base evocati e usati per temi caldi come le migrazioni, ma anche quando ci inoltriamo nella civiltà materiale del nostro vivere quotidiano come il cibo, i lavori, l’istruzione, il welfare, il nostro essere parte della rete digitale, il nostro essere dentro il paesaggio, l’impronta ambientale che lasciamo. Tant’è che in questi giorni guardiamo con timore il cielo con il fumo sopra l’Amazzonia. A noi tocca alzare lo sguardo al cielo della Padania non solo perché quotato nel cielo della politica, ma per i suoi fumi da inquinamento e usando uno sguardo cosmopolita guardiamo anche all’Amazzonia. È sulla terra che si dispiegano questi processi, lenti un tempo, ma oggi iperveloci nella civiltà materiale con la sua catena di senso che rimanda all’agricoltura, all’abitare, al lavorare e al fare impresa con tanto di differenze sociali, spaziali e territoriali.
È la catena ecologica evocata, ma solo evocata, al recente vertice dei potenti che non diventa mai questione sociale. Tocca alle rappresentanze degli interessi, delle economie e dei lavori dargli voce. L’abilità sociopolitica prima evocata, ai tempi della speranza, ha accompagnato il Paese nella sua evoluzione-discontinuità, non senza conflitti anche aspri, da Paese agricolo all’industrializzazione, dal fordismo ai distretti, ma quella abilità di accompagnare le metamorfosi pare smarrita nell’epoca della moltitudine e delle piattaforme produttive che competono nella globalizzazione.
La condivisione identitaria dei modelli di sviluppo si è frantumata in differenze spaziali e sociali tra sistemi territoriali agganciati alla potenza dei mezzi e una marginalità sociale in preda alla scarsità dei fini e di inclusione. Non a caso siamo partiti dal cielo della Padania epicentro di quella piattaforma del grande Nord ove convergono sia ciò che resta a Nord Ovest del fordismo Fiat, il Nord Est del capitalismo molecolare e l’asse emiliano-romagnolo che negli ultimi anni ha scalato le posizioni nella gerarchia della competitività dei mezzi. Qui, a proposito di politica e territori, si voterà per le Regionali così come oltre l’Appennino dell’Italia di mezzo in Umbria, nelle Marche e in Toscana. Qui come ci ricorda Giacomo Becattini sono nati ed evoluti i distretti e i sistemi della manifattura diffusa che sono sotto stress nel farsi piattaforme competitive. Come a Sud dove lungo l’asse Napoli-Bari-Taranto si producono auto e acciaio nella parabola del fordismo italico, spuntano distretti aerospaziali e intorno ai poli urbani prendono forma economie ad alta intensità tecnologica. È un Nord del Sud che si affianca ai margini e alla marginalità che va letta con i numeri drammatici del rapporto Svimez.
Per ridare fiducia nel salto d’epoca alle tre Italie in metamorfosi ci vorrebbe una “militanza di raccordo” da chiedere alla politica. Dati i tempi credo che sarà un percorso di lunga durata per tessiture sociali, per forme di convivenza e nuove forme di rappresentanza nel divenire delle economie e dei lavori.