L’attesa che si allunga sull’avvio del fondo risparmiatori continua a far crescere le tensioni nella politica e fra le associazioni che rappresentano le vittime dei crack bancari. Ieri è intervenuto il sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti a ribadire che nel dl crescita troveranno spazio i correttivi alla manovra sui quali il premier Conte e le associazioni dei risparmiatori hanno trovato l’accordo lunedì. Ma il vicepremier Di Maio non è della stessa idea: «Non si fanno passi avanti se non d’accordo con tutte le associazioni». Ma ovviamente al momento le due associazioni contrarie lunedì scorso non hanno intenzione di ripensarci. E le altre promettono di scendere in piazza senza il via libera al decreto a stretto giro.
Mentre lo stallo prosegue a far scoppiare ieri un nuovo caso è stata la lettura di un passaggio del Def, in cui si legge che il fondo per i rimborsi vale «in termini netti circa 50 milioni nel 2019, 300 milioni nel 2020 e 400 nel 2021». La frase ha alimentato allarmi su «tagli al fondo risparmiatori» rispetto agli 1,5 miliardi in tre anni previsti dalla manovra. A lanciarli è stata in particolare Forza Italia, e dal l’Economia è arrivata la risposta del sottosegretario Massimo Bitonci che parla di «accuse strumentali e demagogiche».
In effetti, in assenza di nuove norme il Def non può che riprodurre lo schema previsto dalla legge di bilancio. Che stanzia gli 1,5 miliardi in tre anni, ma ne spalma gli effetti di cassa e competenza in base alle regole contabili Ue e al calendario dell’attuazione.
Già a dicembre si è previsto che tra decreti e finestra di 180 giorni (dall’entrata in vigore del decreto attuativo) per la presentazione delle richieste il primo anno non avrebbe assorbito 500 milioni. In ogni caso, i soldi non spesi in un anno restano disponibili nel successivo, tanto è vero che le tabelle dei conti prevedono una spesa anche nel 2022 (175 milioni di cassa) mentre il Fondo risparmiatori riguarda il 2019-2021.