Dalle elezioni del 4 marzo a lunedì sera la Borsa di Milano ha registrato un rialzo del 12%. Quasi il doppio della media delle Borse europee (+7,2%) nello stesso periodo. Ma ieri l’incantesimo sembra essersi spezzato: con l’ipotesi sempre più concreta di elezioni anticipate e di Governo posticipato a chissà quando, Piazza Affari ha perso l’1,64% (contro il -0,18% europeo) e lo spread tra BTp e Bund è salito di 7 punti base a 130. Il rischio politico, che sembrava non importare a nessuno fino a due giorni fa, si è improvvisamente materializzato. Per la prima volta dalla data del voto.
Sul mercato girano due ordini di spiegazioni a questo brusco risveglio. Qualcuno sostiene che ora il pericolo-estremismo sia destinato ad aumentare. Per esempio gli economisti di Barclays: «Elezioni anticipate potrebbero cambiare le prospettive sul rischio politico, perché rendono più probabile un Governo tra forze anti-sistema». Qualcun altro ritiene invece che ieri lo stallo politico sia semplicemente stato preso come pretesto dagli investitori per vendere azioni italiane, dato che avevano corso più delle altre. Capire con un giorno solo di ribasso chi abbia ragione è difficile. L’unica cosa che si può fare è analizzare gli elementi di forza e di debolezza di Piazza Affari per stimare quanto il rischio politico possa pesare in futuro.
Punti di debolezza
Il problema principale è che il rischio politico non è quasi preso in considerazione dagli investitori. Questo da un lato può sembrare positivo, perché dimostra – finalmente – che la speculazione ha smesso di influenzare la vita pubblica degli Stati. È accaduto così in tutti i precedenti stalli elettorali europei: quando il Belgio (nel 2010-2011), l’Olanda (nel 2017), la Spagna (nel 2015-2016) e la Germania (nel 2017-2018) sono rimasti a lungo senza un Governo, la Borsa nazionale ha registrato performance solo lievemente inferiori a quelle medie europee. L’Italia fino ad ora sta addirittura andando molto meglio.
Ma questo potrebbe anche diventare un boomerang, perché il mercato è impreparato a qualunque evento politico negativo. I prezzi incorporano insomma ben pochi rischi. Questo vale per i BTp, che rendono solo 130 punti base più dei Bund tedeschi. E vale anche per il mercato azionario. Secondo un indicatore di Banca Imi, gli investitori per comprare azioni italiane chiedono un «premio per il rischio» pari al 6,7%. Livello in linea con il 6,6% di inizio anno. E più o meno in linea con il 6,9% che gli investitori chiedevano per comprare azioni spagnole ai tempi delle elezioni del dicembre 2015. Come dire: oggi gli investitori non chiedono un «premio» aggiuntivo rispetto a mesi fa per comprare azioni italiane alla luce dei rischi politici.
Ma proprio il caso spagnolo può far capire che questo è un rischio:quando, dopo una lunga impasse Madrid tornò al voto nel giugno del 2016, il «premio» chiesto dagli investitori salì all’8,1%. Questo significa che ci fu un riprezzamento della Borsa di Madrid a causa dell’impasse politica. Proprio questo è il punto: se lo stesso dovesse accadere in Italia, è presumibile prevedere un po’ di turbolenza a Piazza Affari. Anche perché l’Italia, con il suo elevato debito e le sue mille fragilità, è vulnerabile. Perché la crescita economica sta perdendo slancio. E potrebbe perderlo ulteriormente in caso di aumento dell’Iva.
Punti di forza
Però la Borsa di Milano ha anche molti sostegni. Il primo è il fatto che le aziende quotate producono utili. I profitti delle 33 società italiane comprese nell’indice Stoxx 600 – come riportato dal Sole 24 Ore domenica – sono infatti previsti in crescita nel primo trimestre 2018 dell’11,1%: molto più dell’1,6% medio europeo. In futuro lo slancio sembrerebbe continuare (almeno in base alle stime). E potrebbe anche emergere un vantaggio nuovo: il calo dell’euro. Nel primo trimestre i conti delle aziende italiane sono stati appesantiti dalla moneta unica (dato che da gennaio a marzo il cambio con il dollaro è stato in media pari a 1,22 mentre nello stesso periodo del 2017 era stato 1,08), ma in futuro il cambio potrebbe diventare più favorevole. Già lo è.
Ci sono però anche elementi di forza che si stanno indebolendo. Per esempio le valutazioni. A inizio anno la Borsa di Milano era molto più “a buon mercato” rispetto agli altri listini europei. Sembrerà un tecnicismo, ma queste cose contano: questo attirava infatti gli investitori come il miele. Oggi non è più così. Il prezzo delle azioni dell’intero listino è pari a 15,6 volte gli utili attesi per il 2018, mentre la media europea è a 14,5. Se si guarda solo l’indice Ftse Mib, i prezzi sono 14 volte superiori agli utili. Livello in linea con l’Europa: la nostra Borsa, dunque, ha perso l’appeal da “saldi”.
Stesso discorso per i dividendi. Le azioni italiane offrono un rendimento pari al 3,3%, poco superiore alla media europea. Ma se si considera che a inizio anno il rendimento medio a Piazza Affari era più elevato, cioè al 3,6%, si capisce che anche in questo caso l’appeal è oggi inferiore. Tutto questo ha suggerito ieri a molti investitori prendere profitto. E in futuro? L’incertezza potrebbe aumentare, ma da qui a prevedere cataclismi ce ne passa.