Dopo tre anni di crescita ininterrotta le vendite auto in Italia mostrano un’inversione di tendenza. Gennaio ‘18 era cominciato bene poi invece le immatricolazioni sono calate anche di 5 punti. Sono diminuite le vendite delle vetture di fascia bassa che avevano favorito la ripresa italiana dal 2015 a oggi. Il mercato dell’auto vale all’incirca l’11% del Pil italiano ma in questi anni è andato più veloce della media dell’economia e l’ha trainata. Ora siamo di fronte a un rallentamento strutturale? Se la risposta fosse negativa ne conseguirebbero seri problemi per l’intero manifatturiero visto che l’automotive — come le costruzioni — è il settore dei settori, si porta dietro meccanica, elettronica, industria conciaria e così via. Di sicuro per il diesel le prospettive non sono rosee, tutt’altro, ma potrebbero cominciare a riflettersi sulle immatricolazioni i nuovi comportamenti dei consumatori che ricorrono allo sharing oppure preferiscono il noleggio.
Dopo le prime segnalazioni di Confcommercio e Bankitalia ieri è stato il Centro studi Confindustria ad avvalorare l’ipotesi di un rallentamento della ripresa. Stiamo parlando di un decimale di Pil del primo trimestre ‘18 e stiamo riportando valutazioni che sono contraddette dall’outlook del Fmi arrivato a quotare +1,5% l’incremento nell’intero 2018. Al di là delle singole elaborazioni però si possono avanzare delle ipotesi di lettura e la prima riguarda la polarizzazione dentro il sistema delle imprese. Le evidenze empiriche di questi giorni ci raccontano di un traffico autostradale al Nord ai limiti del congestionamento e di risultati delle fiere di Verona e Milano che testimoniano dello stato di salute di due segmenti vitali del made in Italy. Ma è probabile che si stia creando una «disuguaglianza della ripresa», di fronte a un contesto più complesso — a cominciare da un apprezzamento delle materie prime — le imprese che faticavano a tenere la rotta possono avere incamerato ulteriori difficoltà, in particolare quelle che restano fuori dalle catene di fornitura capeggiate dalle multinazionali tascabili. In fondo il Pil è di per sé una media e le medie oggi sono necessarie alla governance del sistema ma non sufficienti per capire cosa sta accadendo.
Venuta meno la spinta dell’auto il driver della ripartenza italiana resta l’export. Ma anche in questo caso diventa lecito chiedersi se non sia troppo limitato il numero delle imprese capaci di esportare con continuità. Per potersi caricare sulle spalle il Pil quelle che in gergo si chiamano «lepri», le aziende che corrono, dovrebbero aumentare per poter scaricare a terra con maggiore impatto i loro successi internazionali sul sistema Italia. Ciò probabilmente non può accadere spontaneamente ma ci sarebbe bisogno di quelle che Fedele De Novellis direttore di Ref ricerche chiama «le politiche attive a sostegno dell’apparato produttivo». Non incentivi per carità, ma scelte coerenti con una strategia di sviluppo .