Il giro di vite sui rapporti a termine si applicherà «ai nuovi contratti», ma anche, ed è una novità, a quelli «in corso», seppur limitatamente a eventuali loro «proroghe e rinnovi». Il contributo addizionale di 0,5 punti – in aggiunta all’1,4 già previsto dalla legge Fornero – scatterà dal primo rinnovo di ogni rapporto a tempo (e non dal secondo), e viene esteso anche alla somministrazione. Le “causali”, dopo i primi 12 mesi di contratto “libero”, scendono da tre a due, vale a dire: esigenze temporanee e oggettive, nonché sostitutive (ferie e malattie, per esempio) e incrementi non programmabili dell’attività ordinaria (viene soppressa la terza, relativa ad attività stagionali e picchi di produzione, che opportunamente tornano fuori dal perimetro delle nuove norme).
Salta, ed è un’altra novità, il tetto del 20% dell’organico a tempo per le agenzie per il lavoro, così come il diritto di precedenza nelle assunzioni, ma viene confermato, sempre per il lavoro somministrato, l’estensione della nuova disciplina prevista per l’occupazione a termine (causali, proroghe, che dopo i 12 mesi devono essere anch’esse sottoposte a causali, e rinnovi più costosi), con il rischio, concreto, di «una vera e propria paralisi della somministrazione a termine», spiega Arturo Maresca, docente di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma.
Più stabile il tris di misure per semplificare il fisco di imprese e cittadini. Il redditometro, come anticipato ieri, va in soffitta per gli accertamenti sintetici sull’anno d’imposta 2016. Lo spesometro, di fatto, da appuntamento alle partite Iva a febbraio 2019 per poi lasciare spazio all’e-fattura (ma questo era già legge dello Stato). Confermata poi l’esclusione dei professionisti dallo split payment. Mentre sul divieto di pubblicità nel gioco pubblico arriva il regime transitorio per i contratti di pubblicità in essere che resteranno validi per un anno, dunque fino al 30 giugno 2019. Sul fronte coperture si fa strada un nuovo piano di controlli sul gioco illegale un possibile aumento del Prelievo erariale unico (Preu) dello 0,5% per le Awp e le Vlt (più note sul mercato come slot).
Il decreto estivo, varato lunedì in tarda serata dal governo, conferma dunque una fortissima spallata al Jobs act: il termine per impugnare un contratto a termine passa dagli attuali 120 giorni a 180 giorni; e resta, intatto, il ritocco, in rialzo, degli indennizzi minimi e massimo in caso di recesso ingiustificato dal nuovo contratto a tutele crescenti. Oggi se il licenziamento è illegittimo non scatta, quasi più, la reintegra, sostituita da un ristoro monetario che sale in base all’anzianità aziendale, da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità (un ristoro, peraltro, in linea con quanto previsto nel resto d’Europa). Ebbene, con il decreto gli indennizzi salgono del 50 per cento: per i minimi si passa da 4 a 6 e, per i massimi, da 24 a 36 mensilità (non viene invece modificata la normativa sull’offerta conciliativa, contenuta sempre nel Dlgs 23 del 2015).
Viene invece sostanzialmente “smontato” il decreto Poletti che nel 2014 ha liberalizzato i contratti temporanei per tutti i 36 mesi di durata. Da quanto entrerà in vigore il decreto (entro la settimana sarà al Quirinale, per essere poi pubblicato in «Gazzetta» e inviato alle Camere per la conversione) i nuovi contratti a termine, senza causale, potranno essere sottoscritti fino a 12 mesi (oggi il tetto, previsto dalle regole Ue, è di 36 mesi); e la durata massima si fermerà a 24 mesi (quindi, dopo i 12 mesi, il rapporto può essere rinnovato soltanto per altri 12 mesi, ma con l’obbligo di indicare la causale e l’aggravio contributivo). Nel testo entrano anche l’abolizione delle associazioni e società sportive a fini di lucro introdotte nella manovra 2018 e mai decollate. E la norma che concede più tempo (120 giorni) per eseguire dopo la stretta del Consiglio di Stato i provvedimenti giurisdizionali che riguardano i diplomati magistrali.
Per espressa previsione del decreto le novità su contratti a termine, somministrazione e indennizzi non si applicheranno alla Pa, ma solo al lavoro privato (l’ennesima occasione persa per avvicinare i due diritti del lavoro).